venerdì 29 novembre 2013

L'ARTISTA

Questo post è un quiz. Un normalissimo quiz.
Chi è l'artista, o quanto meno s'avvicina di più al concetto d'artista tra questi tre. Tre che io ho incontrato davvero.
A) Di professione fa il giornalista. Scrive cioè sui giornali, ma pure scrive libri e s'ama definire SCRITTORE. Diciamo che fare il giornalista è un vantaggio per chi fa lo scrittore: perchè sovente si riesce a far parlare dei propri libri usando i canali che normalmente servono per scambiarsi notizie, etc. etc. Il problema è che per definirti scrittore devi campare di scrittura, sennò sei un giornalista. Magari uno può anche sostenere che vende un casino di libri, ma, per chi non lo sapesse, un autore prende dalla sua casa editrice per libro circa il 7, 8% del prezzo di copertina al netto dell'IVA. Per campicchiare un po', di libri ne deve vendere almeno, diciamo, 15.000. E chi cazzo li vende in Italia 15.000 libri? Quattro persone. Ma anche uno SCRITTORE di questo tipo, che non campa di scrittura, ma d'altro, ha la sua dose d'artista.
B) Musicista di jazz. Incazzatissimo con quelli che non sono musicisti professionisti, perchè rovinano il mercato. Nelle rassegne che organizza non invita mai musicisti "dilettanti". Solo che lui per vivere insegna musica. Ha degli allievi che gli pagano le lezioni. Cioè è INSEGNANTE di musica che è diverso da musicista. Il MUSICISTA campa dal, o quantomeno la maggior parte del suo reddito deriva da, suonare dal vivo. Immagino i visi che si storzano, ma è proprio come se un insegnante d'italiano di qualche scuola che, oltre a insegnare, scrive e che vende, diciamo pure, 5.000 copie (una cifra di questi tempi paurosa) dicesse che fa lo SCRITTORE. Ma anche un MUSICISTA di questo tipo, che non campa di musica suonata davanti a un pubblico, ma insegnata, ha la sua dose d'artista.
C) Tizio che bazzica in questi giorni i bar della mia città. Faceva il meccanico, ma adesso l'officina ha chiuso e allora s'e inventato una roba. Siccome ha un po' di talento col dipingere e costruire oggetti s'è messo in testa di vender le sue robe che, insomma, si notano. Allora s'è inventato una lotteria. Nei bar avvicina le persone e fa loro vedere tre dei suoi lavori. Se piacciono dice che possono vincerle se il numero del biglietto che hanno acquistato esce fra i primi tre dell'estrazione del lotto della ruota di Genova tal giorno. Il biglietto costa dieci euro. "Insomma se va bene becco 900 euro al mese, magari di più se riesco a vendere due terzine, ma è difficile". "900 sta per 90X10". "Già, ma un po' meno che se mi devo spostare...sì se son dalle mie parti mi muovo in bicicletta e allora non ho spese...".

Sulla scelta tra i tre io non ho dubbi. Voi?

lunedì 18 novembre 2013

DONNE TU DU' DU' (aka E' PASSATO MOLTO TEMPO)

Buongiorno. E' passato molto tempo, lo so, ma solo ora riesco a rimettermi sul blog. Scusa, Pardon! Come direbbe Paolo Conte.

DONNE TU DU' DU'.
Allora. Quest'anno ho assistito a diverse presentazioni di libri e devo dire che sono sconcertato. Sempre più salta fuori stà storia che gli scrittori hanno scoperto LA DONNA. "La donna è la parte migliore della società, dovremmo fare in modo che le donne avessero più voce in capitolo nelle decisioni importanti di questo paese, perchè solo in questo modo potremo andare meglio. Solo attraverso le donne miglioreremo". E via così. E intanto scrivono libri in cui donne di coglioni (e qui mi viene in mente Gep Gambardella in "La Grande Bellezza" che attacca alla grande la donna chic di sinistra, aka Barbara Palombelli, che dice di avere le palle così) che distruggono uomini come birilli. L'ultimo è stato Gianrico Carofiglio che durante una presentazione al mio paese ha sparato il superpippone a favore delle donne, la parte migliore della società, anche se, bontà sua, non ha messo una superwoman dentro al suo libro, ma se limitato ai fuochi d'artificio pro-donna che vanno tanto di moda, perciò perchè tirarsi indietro?
Ora, la rilettura balestraccesca della questione, ma non solo mia, penso anche di chi abbia un minimo di sale in zucca e capisca un cis di libri, è questa. Immaginatela, però, come un colloquio tra un editor di una grossa casa editrice e l'altrettanto grosso scrittore.
Sculta ben! Qua la barca fa acqua da tutte le parti, che qui come vendite siamo peggio del Burkina Faso. Sculta ben! Qui leggon solo le donne. Da quand'è che non vedi un omo che legge? Saran 500 anni. E alora bisogna scriver libri che i protagonisti son le done! Quella vacca della miseria. Li voglio neri, si insomma, noir, e con le done protagoniste, che così raschiamo un bel po' il barile, che queste s'immedesimo e prima di andar a far da mangiare si gasano un pochetto. Oh! E le presentasiun, me racomandi, dire che le done son la quintesensa dela spina dorsal della società. D'accordo? Toh! Becca 20.000 euri d'anticipo".
La cosa che m'incuriosisce è, appunto, com'è che nessuno durante le presentazioni abbia fatto la seguente obiezione:
"Sculta ben autor! Com'è che in Italia il 70% dei lettori son donne, mentre chi scrive l'80% son maschietti. Sculta ben! Com'è che nei premi letterari c'è una donna su cinque o su sei candidati al premio? Al Bancarella poi non s'è mai vista una donna che sia una, che sia un premio donnofobo?Sculta ben! Ma com'è che tutti disen che la lettura insegna a scriver e se lezen solo le done com'è che scrivon solo uomini. Sculta ben!".
In altre parole la questione è questa: "Perchè non ci risparmiate sta tiritera sulle donne, che tanto s'è ben capito che a voi le donne stan bene dove stanno?".
Per quanto mi riguarda c'ho messo solo una donna all'inizio del Cannibale e basta, che di donne c'ho sempre capito poco, ma, guarda un po', l'unica grossa casa editrice che m'ha contattato m'ha chiesto proprio di scrivere un "romanzo femminile". Ma sarà strano il mondo?

domenica 4 agosto 2013

TRA LIBRI E MUSICA ALL'INIZIO D'AGOSTO (1^ PARTE)

All'inizio d'agosto non si dovrebbero far ragionamenti troppo complicati, meno che negli altri periodi dell'anno, perchè, appunto, è agosto, ma i pensieri (in effetti "ragionamento" è una sovrastima) capitano quando capitano e si scrivono costì.
Una delle cose che m'ha colpito durante quest'ultimo girovagare dietro all'uscita d'"Imerio" è il fatto che i migliori librai (cioè quelli che fanno i librai per missione e non perchè "un'attività commerciale vale l'altra" e che non confondono un libro con i bermuda a fiori) che m'hanno ospitato preferiscono, tra i miei libri, "La Storia Balorda". La faccenda è singolare perchè tra i miei sei lavori pubblicati, compresi quelli col "Foglio Letterario", "La Storia Balorda" è il libro che ha venduto meno. Più o meno come "Compagno di Viaggio" e "Bluespadano", ma a siderale distanza dal "Cannibale" e "Imerio". I librai e moi meme abbiamo cominciato a sfugugliare sulla questione. "Com'è che il libro in cui s'è cercato un passettino in avanti nello sviluppo della storia sta occupando bancali nel magazzino dell'Instar Libri?". Non è che servono tanti sforzi per capire stà storia. In Italia, si richiede un certo tipo di storia: aldilà delle varie derive erotico/disgraziesche che vanno di modissima, serve una vicenda molto circostanziata e che non richiede particolare sforzo da parte del lettore. Questo è, senza mezzi termini, ciò che l'editoria, sbavando di continuo sul termine cultura, sollevato a più non posso, desidera. Roba semplice, vendibile, che non stiamo qui troppo a rompere i coglioni. Credo che possa essere sottolineata all'uopo una frase di Ernesto Ferrero prima dell'ultimo Salone del Libro: "Ciò che impensierisce è il fatto che sembra che il lettore dal libro desideri più una conferma di quanto già conosce, piuttosto che apprendere qualcosa di nuovo", a cui può essere aggiunta una curiosa constatazione di Giovanni Cocco, finalista al Campiello di quest'anno, in cui sottolinea come, dopo più di 30 rifiuti da parte di case editrici italiane, la sua sorte si sia volta al bello quando il suo agente è riuscito a vendere "La Caduta" a una casa editrice straniera per la traduzione. Il giorno dopo hanno iniziato a bussare alla sua porta (più verosimilmente a quella dell'agente) un sacco di case editrici nostrane, molte delle quali avevano già rifiutato in precedenza il manoscritto. Insieme queste due affermazioni portano a una terza opinione espressa da Walter Lazzarin, scrittore di valore di piccolissima casa editrice, ma perfettamente condivisibile che "se David Foster Wallace e Don De Lillo fossero stati italiani, nessuna casa editrice li avrebbe pubblicati perchè troppo innovativi, troppo poco quadrati. Sono stati pubblicati in Italia solo perchè in America avevano ottenuto un grandissimo successo". Da questo tipo di understatement, i grandi editori strombazzano di CULTURA, o meglio, della mancanza di cultura, come se le case editrici non ne dovessero essere veicolo in primis, riverberando ciò che di pazzesco m'accade quando giro per le scuole: annoiatissimi insegnanti di lettere si sfogano dicendo che questi ragazzi non hanno cultura. "E chi cazzo gliela deve insegnare? Me nonno in carrioea? Perchè cazzo ti pagano, scusa?". Tutto ciò porta al favoloso risultato che il libro forse più ben scritto che io abbia letto recentemente, con tutto un progetto linguistico e sociale alle spalle, "L'Erba che Fa Il Grano" di Paolo Repossi languisca nei magazzini della casa editrice che l'ha pubblicato, mentre "Io ti Vedo", "Io ti Sento", "Io ti Palpo", che fanno cagare anche solo a osservarli graficamente, perchè hanno risparmiato pure sulla grafica, viaggiano a nastro. A quel punto a chi si gratta la testa sulla questione, sorge un dubbio: "Vuoi vedere che, davvero, hanno ragione quelli che dicono che, pur ululando contro il degrado culturale italiano, agli operatori culturali interessa un sacco che si resti tutti un bel po' gnurant, così propinano paro paro quello che pare a loro?".

Continua la prossima volta, parlando della musica...

lunedì 22 luglio 2013

MUHAMMAD ALì, STORIA DI UNA RIVOLUZIONE

Non c'è niente da fare. A me piace la Storia. Fin da bambino, quando lessi tutto "Conoscere", ma con particolare gusto quando si parlava di Storia. Chissà perchè? Ma tant'è. Per questo, credo, io amo il Romanzo Storico, anche se cercare esattamente di capire cosa sia il romanzo storico ci vorrebbero 65 post, altrui e miei, e alla fine non c'avremmo capito un cazzo. Amo anche slittare dal Romanzo Storico ai libri che parlano di Storia, possibilmente non scritti da storici che tendono sempre un po' ad arronfare il lettore, e alle Biografie. Ho scoperto che, in genere, amo i biografi connazionali del personaggio trattato, perchè vivono nello stesso paese e, probabilmente, hanno un medesimo modo d'annusare l'aria. Non a caso ho amato alla follia, per esempio, "L'ultimo Treno Per Memphis/Amore Senza Fine", la biografia di Elvis e "Sweet Soul Music" scritte entrambe da Peter Guralnick che hanno dato un bello scossone all'idea che potessi, un giorno, magari scrivere qualcosa. Allo stesso modo non ho per nulla amato, proprio no, un libro sul quale m'ero buttato a capofitto, "Bartali, la strada del coraggio", un libro d'una gran bella casa editrice, 66th and 2nd, con una bellissima copertina, ma che però, in questa occasione, ha pescato il granchione. Sarà un caso che il libro su Bartali sia stato scritto da Aili e Andres Mc. Connon, per nulla toscani, se non, forse, abitanti del Chiantishire, ma incapaci di capire "eh sì dopo una maialata costì, l'è facile dimentihar le hose". Insomma, a mio avviso, bisogna esser biografi di compaesani e di connazionali se si vuol esser credibili, ma ci sono circa un migliaio d'eccezioni. Ve n'espongo due: di due amici, che si tende sempre a far la Cupola.
"Blues" d'Edoardo Fassio, che è fosse l'unico libro sul blues in Italia scritto immedesimandosi sui personaggi,  con semplicità, piuttosto che trattandoli con enfasi psicologizzante che per leggerli ci vuole un vocabolario per capire che cazzo voglia dire o non dire una frase e "Muhammad Alì - storia di una rivoluzione" d'Andrea Bacci di cui adesso vi racconto, perchè questo è solo il preambolo e adesso, dalla prossima riga, viene lo svolgimento.
"Muhammad Alì", diciamolo subito così ci togliamo il pensiero, è un libro che ti cappotta, perchè parla d'un personaggio amatissimo. Io da bambino, alla scuola elementare, durante la ricreazione pugilavo sotto un salice e facevo Cassius Clay: indietreggiavo e colpivo l'avversario. Clay era magnifico. E poi quando son diventato appassionato di blues ho, erroneamente, osservato adorante le icone dei poveri neri redenti dalla musica e dallo sport. Osservavo cazzate e mi piacciono un sacco i libri che le evidenziano alla faccia mia. Clay falsamente povero, ma iconograficamente povero, che diventa campione del mondo battendo in due incontri truccati Sonny Liston che, invece, è il classico prodotto dello slum, che perdipiù ascolta per allenarsi "Night Train" di James Brown. Che alla fine ho fatto il tifo per Sonny, perchè era veramente uno venuto fuori dalla merda e a forza di pugni una posizione da meno schifo è riuscito a costruirsela. Per un po'. E poi "Smokey Joe" Frazier, che Andrea Bacci riesce a far risplendere più dell'attore protagonista, che fa crescere il desiderio di saperne di più sulla sua vita qui accantonata, con "Thrilla in Manila" (il 3^ incontro tra Alì e Frazier) raccontato come se stessi vedendolo là nelle Filippine. E poi le bugie dei musulmani neri, che ricordano vagamente i mormoni di Twain in "In Cerca di Guai" e tutte quelle cose, come l'eterno paternalismo dei bianchi nei confronti dei neri, che Andrea ti mette sotto il naso quasi senza che l'io lettore (nel senso di proprio io) se ne accorga. Non lo so perchè, che di certo Bacci non aveva quest'obiettivo, ma mi sembra uno dei più bei libri scritto sulla condizione dei neri d'America, scritto senza professorismo e alcuna retorica. Godibilissimo anche dagli appassionati di musica nera per far passar loro, una buona volta, l'eterno desiderio di pauperismo di "sveglia al collo e anello al naso". L'unica cosa che non m'è piaciuta è il fatto che, tanto per cambiare, m'ha tirato dentro e m'ha fatto venir voglia di scrivere un romanzo sul pugilato. Tipo, appunto, su Joe Frazier o su Sonny Liston. Ma, purtroppo, come già scrissi, per scrivere di pugilato ci vogliono due marroni così. Andrea Bacci ce li ha. Io non so.

venerdì 12 luglio 2013

TENERE UN BLOG BLUES. O se preferite PFM BLUES.

Tenere un blog è un bel blues. Nel senso che la regola aurea del blogger dice: "Bisogna postare un articolo alla settimana". Neanche fossi un giornalista professionista. Come accidenti si può fare a postare un articolo alla settimana? Fortunatamente gli stimoli esterni sono fortissimi e oggi m'è proprio capitato un grande stimolo che, terminato stò preambolo, che ci vuole sempre un preambolo, m'accingo a raccontarvi.

Come sapete le communities sono diventate fondamentali per il passaggio delle informazioni e, giusto ieri, un post su un concerto nel mio dolce paese m'ha informato dell'evento in questione. C'erano in effetti i manifesti, ma corri de qua, corri deà vedi il nome del gruppo, ma non focalizzi bene la data. Allora facebook m'ha all'uopo informato che nel parco cittadino avrebbero suonato gli Area. L'involontaria, ma esplicativa, didascalia sottolineava: il gruppo del compianto Demetrio Stratos. Ora, mi sono incuriosito e sono andato a vedere quand'è morto Demetrio Stratos: nel 1979. Esattamente 34 anni fa. 34 anni fa, ripeto, e gli Area d'oggi continuano ad avere una ragione d'essere perchè fino a 34 anni fa suonava con loro Demetrio Stratos. La mia immediata reazione è stata: "Ma Veneto Jazz (l'agenzia che ha portato nel paesello gli Area, anzi (A)rea) in tutto il suo catalogo, non aveva un altro nome o gruppo più fresco degli Area che appartengono al pliocene?", ma pensando alla rovescia, "chi cazzo è stato dell'amministrazione comunale che tra il pacchetto d'artisti proposto è andato a beccare proprio gli Area? Chi è stò genio dalla sapienza musicale come quella d'un pesce palla?". "Sì però han suonato bene!" "Grazie al cazzo, han iniziato a suonare prima ancora del Parco Lambro e ogni strumentista è talmente bravo che ha suonato con tutti, e cosa t'aspetti che suonino male? D.C.". (che sta per un'esclamazione che non può essere scritta; più che esclamazione è un intercalare). Intendiamoci, mica è Ares Tavolazzi che mi ruga. E' l'idea, l'understatement, che non mi va, il revivalismo del cazzo che spopola dovunque, come se la gente non sapesse che gli anni '70 e '80 sono passati fate voi il calcolo quanto tempo fa, ma, inutile pregare la Madonna che faccia il miracolo, non tornano più. 
E oggi una telefonata m'ha spinto a scrivere stà roba. Dall'altro capo del telefono una voce innocente e amica mi fa: "Viene a Treviso a sentire i PFM che rifanno Dè Andrè?". Sfortunatamente per lei non sono riuscito a stare zitto. "Ma D.C. (stesso intercalare di prima), lo sai qual'è il primo disco che ho acquistato nel 1978 quando ho comprato lo stereo? "Fabrizio De' Andre con la PFM". Quello arancione (Vol.1), che quello verde non l'ho comprato (Vol.2). Avevo sedici anni e adesso ne ho 51. Ho visto i PFM al palazzetto del mio paese che i PFM portavano in giro "Volo aVela" (con dentro, curiosamente, "Maestro della Voce", dedicata a Demetrio Stratos) che avrò avuto massimo 19 anni. Sono passati più di trent'anni e mi chiedi d'andare a vedere i PFM, che avranno minimo 70 a cranio, che suonano De' Andrè? Ma che D.C. (idem come sopra) mi chiedi?". 
Cazzo, cazzo, cazzo, dal 1980 sono passati 33 anni e ci saran state decine migliaia di band solo nella mia provincia che hanno rotto i coglioni con le ciaccole sulla musica e coi cazzo di loro esperimenti sonori, dico solo nella mia provincia, per non parlare di tutta Italia e dopo 33 anni i programmi delle manifestazioni propongono Gli Area e i PFM. Ma che cazzo abbiamo fatto tutto questo tempo, che cazzo abbiamo parlato di musica e suonato a fare se ancora c'è gente che sbiella davanti al ricordo dei meravigliosi anni 70 e 80? Ma P.M. (cambio di intercalare, ma l'effetto è, nella sostanza, il medesimo).

P.s. Volevo solo dire che questo non è un brontolamento, ma un'accesa riflessione.

lunedì 8 luglio 2013

LA GRANDE BELLEZZA, IL VENTOUX E VITO FAVERO (SOPRATTUTTO).

Non so se a qualcuno interessi, non m'aspetto che accada, ma quest'estate per le vacanze estive, che faccio in giugno, sono andato sul Ventoux. Era da quando scrissi "L'Uomo della Biglia", il capitolo attorno al quale è ruotato "L'Ombra del Cannibale" che desideravo andarci. Volevo vedere il posto dove il Monte s'era ingoiato Tommy Simpson e alla fine ci sono andato. Vi risparmio tutte le descrizioni e le emozioni, per le quali ho altri progetti, ma intendo soffermarmi su una questione fondamentale, sulla quale non ho nessun progetto: "Perchè nel 1994 partii alla volta del Mississippi per visitare le tombe di Sonny Boy Williamson II, Robertino Johnson e Charly Patton e nel 2013 me sono andato sul Mont Ventoux a vedere la stele di Tommy Simpson?". La trasformazione per me ha dello straordinario, ma non intendo frequentare strizzacervelli per comprenderla, anche perchè La Santa ne "La Grande Bellezza" ha per l'ennesima confermato le mie, personali, risposte. "Mangio Radici, perchè le Radici sono importanti". Le mie radici non stanno in Mississippi, ma in una televisione in bianco e nero, dentro al salotto della mia famiglia, in cui guardavo il Giro d'Italia e il Tour de France all'inizio degli anni '70. E anche il Milan di Luciano Chiarugi, che preferivo persino a Gianni Rivera. Tutto qui. E anche tutta qui sta la mia idea d'intervistare Vito Favero, meraviglioso mio co-provinciale, di Sarmede, arrivato secondo al Tour del 1958 dietro Charly Gaul e prima di "Gem"Geminiani. La cosa che m'ha impressionato sia con Vito Favero che con Imerio è la totale facilità d'incontrare stè persone, basta una telefonata, un "Se Vedemo?", perchè l'appuntamento venga fissato con semplicità. Un appuntamento con delle leggende: con degli eroi che si rivelano del tutto "antieroi", nonostante la moglie di Vito mi faccia vedere una sfilza di foto in cui lui è insieme a Gaul, Jacquot Anquetil, Gastone Nencini e io possa vedere, contemporaneamente, il soggetto della foto insieme a me bere un prosecco fatto con l'uva che viene su proprio dietro la casa. "Sì, sì, siamo ospiti del Tour de France, a Parigi, l'ultima domenica. Lì ci chiamano sempre". "Sì, sì, nel '58 non c'erano tante moltipliche, facevano l'Izoard e il Ventoux col 50 X 23, massimo 24". "Ah l'acqua di Vichy è proprio benedetta"."Beh sai, fino a un po' di anni fa avevo 50.000 polli qui dietro, su quel capannone in fondo". Proprio come diceva quel cantautore che una volta mi piaceva un sacco, "Tra Palco e Realtà", Vito Favero è proprio così: tra palco e realtà, molto vicino a  un altro posto in cui la bicicletta è stata miracolata: Colle Umberto, dove nessuno sa è nato uno dei più grandi track del ciclismo: Ottavio Bottecchia. Eppure a San Martino (di Colle Umberto) c'è solo uno stradone e nessuna traccia d'una memoria d'Ottavio. Come si dice sempre, in Francia c'avrebbero fatto minimo un mausoleo e vi si sarebbero recati un sacco di ciclisti a rendere omaggio. E adesso che ci penso su mi viene pure in mente il Ponte della Becca, che ho attraversato per andare a fare una presentazione alla stupefacente "Libreria Delfino" di Pavia. Il Ponte della Becca. Il più bel manufatto costruito dall'uomo lungo il Grande Fiume Po, tirato su proprio dove Ticino e Po s'incontrano, in un posto meravigliosissimo. Oggi è in stato di semiabbandono. Se vivessimo in un paese civile, la Francia per esempio, che in "Imerio" così tanto insulto, avrebbero deviato la strada e curato e lasciato il ponte ai pedoni e alle biciclette, per glorificarlo, ma come direbbe la Santa: "Le Radici non si spiegano, si curano".

P. S. Ho sorvolato volutamente sull'intervista a Vito perchè, anche su questa, ho qualche progetto e anche su San Martino di Colle Umberto. E i progetti si svelano, evidentemente, dopo.

venerdì 28 giugno 2013

BRONTOLO AND MARACANAZO BLUES

Questo post è una diretta conseguenza di uno dei miei spettacoli: "Camus era un portiere di calcio", volto a far comprendere, come sottolineava Albert Camus, che lo sport è molte volte la miglior metafora della vita (e della morte, forse aggiunta inutile se nella vita s'include anche la morte, ma non sto qui a cavillare).
Questo post è anche diretta conseguenza del fatto che un'amica m'ha regalato un nano da giardino, Brontolo, per la mia perpetua tendenza al brontolamento esplicitata in una nota community. Tutto ciò m'ha molto divertito, ma fatto anche riflettere: vuoi vedere che Daniela c'ha pure ragione? Che sto diventando un vecchio trombone? Da tutto ciò discende "Brontolo and Maracanazo Blues" che inizia immantinente e che va letto, forse inutile precisazione, con una certa ironia.

Perdonatemi, ma io posso sopportare:
1. I giornalisti che conducono la lettura dei quotidiani del mattino a RadioTre e che poi rispondono alle domande degli ascoltatori sulla crisi con una sicumera che lascia interdetti, tanto si sa che fanno parte d'una categoria che la crisi manco la sentono da lontano.
2. Esperti di vario genere interrogati sullo stesso tema sempre da RadioTre (io quella ascolto) che concionano sulla medesima questione e conservano lo stesso atteggiamento: osservano come chirurghi le interiora d'un paziente devastato da una metastasi e dicono "cosa vuoi fare, questo deve morire"! e fanno richiudere scuotendo la testa, tanto comunque il cancheraccio ce l'ha il paziente e mica loro.
3. Lo stato in cui versa la scuola, visto che il rettore dell'Università di Venezia parla in tivvù delle difficoltà dell'Ateneo che presiede e tu ti domandi come cazzo possa parlare di problemi della scuola e abbia potuto diventare rettore di quell'Università essendo stato il tuo PEGGIOR (per doti umane, che spesso sono fondamentali per una didattica) professore nel quadro d'un percorso di studi durato 20 anni che ha passato in rassegna una cinquantina d'insegnanti che non hanno affatto lesinato nel raggiungere punte verso il basso.
4. L'evidente nepotismo nei ruoli più pagati dell'Amministrazione Pubblica, in particolare nel settore dell'informazione, che perpetua la separazione tra le classi per nascita e anche il detto: "chi ce l'ha nel culo, per favore, se lo tenga!".

ma, proprio, vado via di matto quando:
1. Si parla della semifinale di quella merdina di "Confederation Cup", pompata a manetta perchè ormai il calcio deve pomparsi da solo, tra Brasile e Uruguay e la si confronta col memorabile afflato e affatto metaforico e sorianamente trattato "Maracanazo" del 16 luglio 1950.
2. Si introducono con effrazione bojate come "Ho scelto di Stare davanti alla Porta" di Sandro Mazzola e Marco Civoli e "Gli Angeli Non Vanno Mai In Fuorigioco" di Fabio Caressa, nella sestina finale del premio letterario sportivo più importante d'Italia, con l'unica finalità di riempire una piazza piuttosto che di preoccuparsi di questioni di, parola ormai desueta, LETTURA. (A quelli che penseranno che ce l'ho perchè "Imerio" non è stato selezionato, rispondo che c'erano tanti altri libri che meritavano quei tre posti (perchè ce n'è un terzo che non cito che mi ruga i marroni per l'evidente compiacenza della scelta), tra cui capolavori assoluti, piuttosto che l'evidente pattume libro-televisivo selezionato).
3. Un libraio, diventato mio amico, mi comunica che nella sua libreria d'improvviso esplode la foga dell'acquisto dei libri di Mario Rigoni Stern, autore nato e vissuto a non più di venticinque chilometri dal luogo dove la libreria si trova. Al suo chiedersi come mai ciò possa accadere risponde un lettore: "Ciò stò Rigoni Stern ze stà da Fazio a settimana scorsa!".

Devo dire che ciò che ho scritto è in linea colla cosidetta strategia del "Conflitto" elaborata da Massimo Carlotto, ma visto che non ho accesso liberamente a quotidiani o altri mezzi di comunicazione di massa, l'applico alle community e al mio liberissimo blog, mentre accarezzo con affetto il mio amico Brontolo, il nano da giardino che ora vive in appartamento.

venerdì 31 maggio 2013

INFERNO (3^ e definitiva parte)

Ora "Inferno" diventa qualcos'altro. Una metafora voglio dire. Cosa accidenti significa "Inferno"? Cioè la pubblicazione da parte di Mondadori, in Italia, ovvio, d'"Inferno"? 
Il problema mi si pone perchè, a rifletterci, "Inferno" è molto, molto, molto peggio del "Codice da Vinci". Nel "Codice" c'erano diverse panzane disseminate qua e là nel libro, ma la storia c'era, tanto che le panzane facevi finta di non averle lette, e persino un attaccamento ai luoghi. St. Germain de Pres, mi pare (o Saint Eustache?), la Cappella di Rosslyn e altri posti così. Invece "Inferno" è nientepocodimenoche TREMENDO.  Sembra scritto da un'accozzaglia di idioti che, e questa è davvero sorprendente, non si parlano tra loro. Che non si pongono minimamente il problema se c'è una connessione tra una scena e un'altra. Proprio, appare chiaro, che nessuno tra quelli che l'hanno letto durante la lavorazione se n'è proprio sbattuto un accidente di ciò che stava scritto nel libro. Ho letto un articolo su "Repubblica" di Firenze, in cui si parla di pezzi grossi di Mondadori e di traduttori, febbrilmente attaccati al libro, come fosse un importantissimo segreto militare. Ma se questi a pezzi grossi e pure ai translatori interessassero davvero i libri, o almeno ciò che noi riteniamo essere i libri: convogliatori di qualche concetto, agenti che causano pensieri, magari, nuovi, o che danno una  bella lucidata a pensieri vecchi, cosè così, allora gli uni e gli altri avrebbero davvero fatto una bella figura dicendo: "Questo libro non può essere pubblicato. Nel senso che non è neppure un libro. Non è un cattivo libro, perchè ogni cattivo libro ha in se' una qualche buonina intenzione. No. Non è proprio un libro. Le parole che sono scritte sopra hanno valore solo per il periodo che le riguarda. Fino al capoverso. Poi non hanno nessun altro valore, o quantomeno, non nel contesto espresso alla riga precedente, prima dell'a capo. Una roba così non può essere pubblicata!". In effetti, più ci penso, più catalogo l'oggetto "Inferno" nel materiale riciclabile. Non è come "Stabat Mater", "Il Ragazzo di Bruges", "La Tempesta" che, insomma, puoi passare ad altre mani che, magari, a qualcuno possono piacere. No. "Inferno" è spazzatura fatta di pagine. Va immediatamente buttato nella carta da riciclo, a meno che uno non ne trovi un altro ultilizzo, ma sicuramente non come LIBRO.
Immediatamente ho chiesto a chi ha letto il prodotto di carta dell'anno scorso, "50 Sfumature di Grigio", che cosa ne pensasse. Gli avvezzi alla lettura m'hanno guardato e, dopo breve circonlocuzione atta a giustificarsi, hanno sentenziato "SPAZZATURA". 
Allora io mi chiedo cosa rispondere a quelli che dicono che, comunque, "Inferno" e "50 Sfumature di Grigio" danno un supporto alla lettura. Sono un viatico per altre letture. Che girano intorno al fatto che entrambi gli oggetti sono MERDA SCRITTA, dimenticando che magari le case editrici dovrebbero tentare, se non di volare alto, quantomeno di staccarsi da terra oppure di scavare poco.
Sono certo che una roba come "Inferno" faccia davvero male a tutti, che non ci sono santi che non dia alcun respiro al mercato editoriale perchè si rivolge a una fetta di mercato in prospettiva del tutto sterile, e che, per esempio,  il fatto che Mondadori (in Italia, all'estero altri) ne approfitti a più non posso sia veramente vicino al reato di "circonvenzione d'incapace". E adesso che guardo bene, pure "Le Sfumature" sono uscite per Mondadori. Che possa significar qualcosa?

martedì 28 maggio 2013

INFERNO (seconda parte)

Allora. Un mio caro amico m'ha detto, al Salone di Torino, che il post su "Inferno" che ho pubblicato sul blog un paio di settimane fa, andrebbe incorniciato. Il che ora mi crea un profondo imbarazzo, perchè questa è la seconda parte e la scrivo dopo aver letto le prime 88 pagine del suddetto "Inferno". Il precedente post che ho scritto molto onestamente, voleva mettere in luce la mia eterodossia in un momento in cui tutti mi danno dello snobbone, in quanto assumo delle posizioni del tipo: "Springsteen è meglio che smetta di suonare, perchè se continua così riuscirà persino a cancellare monumenti musicali come "Nebraska" e "The Wild, The Innocent, etc. etc", oppure "che cazzo sbavate sul Salone del Libro che si vede a duecento metri che è come la Sagra dell'Agnolotto, solo che i libri non si magnano?"o, più locale, "chi cazzo se ne incula del castello di Castelfranco Veneto, se la città non ha nessuna vita culturale? I monumenti servono solo se una città li può apprezzare e questo impone un certo livello di saper stare al mondo, che guardacaso è proprio ciò che non c'è!". Insomma, volevo liberarmi un poco del mio snobismo e ho fatto tutto un post sul divertimento della lettura, che, per l'amordiddio, sottoscrivo in pieno, solo che, questa mattina, ho speso 22.50 euro (la mia libreria di fiducia mi fa sempre lo sconto del 10%) per comprare, per l'appunto, l'ultimo Dan Brown chè non volevo essere tacciato di partigianeria in partenza. Ebbene, già dopo una quindicina di pagine mi sono cominciato a chiedere se non avessi fatto meglio a mettere quei 22.50 euro nella cassetta delle elemosine del Duomo del mio paese, rimanendo assolutamente sconvolto dalla dabbenaggine e dalla sommarietà degli incastri giallistici. Immagino Enrico Pandiani mangiarsi il foulard nel suo stretto studiolo infarcito di libri per cercare meccanismi noiristici, diciamo così, a orologeria, che scoppino al momento giusto, dettagli minimi che ricongiungano inaspettatamente una trama. Oppure immagino, retrocedendo nel tempo, il "negro" Dumas tenersi celata fino in fondo ai "Tre Moschettieri" il legame tra Athos e Milady. Insomma vedo nettamente la sofferenza dei noiristi, giallisti, o come volete chiamarli voi, nel dosare il dettaglio, la violenza, il mistero, per ottenere una miscela credibile e godibile agli occhi del lettore esperto e mi chiedo come accidenti sia possibile che qualcuno acconsenta alla pubblicazione d'una cagata pazzesca come "Inferno". I meccanismi non s'incanstrano, trascuratezza bestiale nei particolari (del tipo Robert Langdon soffre di clamorose amnesie, ma si ricorda username e password della sua casella e-mail dell'università di Harward), scene assurde (come proprio mentre i cattivi li stanno beccando il suddetto Robert Langdon s'accorge che i mocassini italiani sono meglio di quelli inglesi e decide che da quel momento in poi li comprerà sempre): tutto ciò passato inosservato sotto agli occhi degli editor che non si capisce che tipo d'assistenza abbiano offerto allo scrittore. Subito all'inizio, diciamo entro le prime dieci pagine, c'è il riferimento a un orologio di Topolino che chiunque sia un poco pratichetto capisce che sarà un dettaglio importante del libro, anche se non ne ho la conferma, perchè a pagina 88 ho smesso di leggere, concludendo il mio sodalizio con "Inferno" con un perentorio: "ma vai a cagare!". Ma, a questo punto della mia vita, s'è posto un clamoroso dilemma: "E come accidenti faccio a recuperare quei poveri 22.50 euro?". Sono tornato dal mio libraio, mi sono inginocchiato davanti a lui e l'ho pregato come si prega davanti a un capitello: "Ti prego cambiami sta' merda di libro. Ti prego. In cambio te ne compro uno di Baricco, o anche "Se Ti abbraccio non aver paura", oppure anche quello che parla di quanti pezzi siano stati fatti della tipa che è stata rapita nel mio paese, ma, ti prego, cambiami stà merda...". Il mio libraio è buono. M'ha detto che potevo scegliere quello che volevo. Ho preso "Point Lenana" di Wu Ming 1 e anche oggi ho salvato la ghirba. A dir la verità il libraio voleva che prendessi qualcos'altro, perchè "Inferno" costa cinque euro in più di "Point Lenana", ma non ho voluto. A voler essere ciò che non si è, e io sono snobbone e rompicoglioni, bisogna pagare dazio e 5 euro mi pare un prezzo equo.

mercoledì 22 maggio 2013

IL SALONE (DEL LIBRO) E IO

Ricordo bene la sensazione provata al mio primo Salone del Libro, subito dopo l'uscita della "Storia Balorda". Stavo con Luigi Tempera e ricordo che m'inginocchiai davanti all'ingresso espositori e baciai per terra. "Ma che cazzo fai? Ti sei rincretinito Balle?". E' che Luigi, abitando in Piazza Cattaneo a Torino, non conosceva le pulsioni d'un provincialone come me. Essere al Salone era un traguardo, una roba mai vista. Lo smarrimento e l'affogamento in mezzo a tanti libri mi travolgeva. La cosa strana fu che dopo un'oretta che ci stavo dentro, in mezzo tutto quel casino di gente che parlava e di poveri disgraziati che tenevano i loro incontri nei vari stand delle case editrici, cercando disperatamente di far sentire ciò che avevano da dire, ho sentito la necessità di filarmela alla svelta e di ripararmi in una libreria ospitale: chessò "La Gang del Pensiero" d'Andrea Bertelli che ancora non conoscevo, ma che se avessi conosciuto sarebbe stata senza dubbio d'ausilio, o, per esempio, persino di ritornare alla Libreria Costeniero del mio paesello, che non era com'è adesso, ma che se lo fosse stata sarebbe stata di certo sollevante di fronte a quel bailamme.
Quest'anno sono tornato al Salone e quella pazzesca sensazione di confusione è riapparsa. Intatta. Incontri cogli autori negli stand che, poveri disgraziati, cercavano di farsi sentire nel bordello più totale: tutti probabilmente alle prese con lo stesso stato d'animo ch'avevo io: è un traguardo, sono venuto a Torino, e devo sfruttare al meglio l'occasione.
Purtroppo però, a osservarla da tutte le parti, non c'è nessuna occasione. 
Claudio Cecchetto, il fisarmonicista che suona con me e ch'era a Torino per tenere lo spettacolo al Salone Off, nel suo candore di termotecnico (cioè musicista non professionista, come me, del resto, che per campare faccio il barista) ha proferito il solenne: "Ma questa è come la Fiera delle Macchine Utensili, anche se lo chiamano Salone del Libro". E c'ha colto preciso, preciso come un cecchino a Srebenica. E' proprio così, nonostante il squaqquaraquare della "Stampa" e la diretta di Fahreneit. Il Salone del Libro è solo un immenso negozio di libri che s'allestisce ogni anno al Lingotto. Nè più, nè meno di questo. Chi cerca un luogo un cui si respiri cultura, cioè un modo di pensare e sentire particolare, ha sbagliato indirizzo, nel senso che ciò che trasudano i libri lo si può percepire in ogni libreria di paese, perchè chi ama il libro quella sensazione la può percepire in tutti i luoghi in cui quell'oggetto ci sia, indipendentemente dal fatto che si trovi, appunto, alla "Gang del Pensiero", in cui quell'oggetto è amato, oppure in una libreria in cui il gestore ha tergiversato fino all'ultimo nella scelta se aprire in quel preciso posto un negozio Intimisssimi.
Il Salone del Libro non serve agli autori, nel senso che gli emergenti, o immergenti, si trovano nella spiacevolissima posizione di doversi portare gli spettatori, che chi, come me, ha suonato per molto tempo,  è una circostanza che ricorda con terrore, acuita dal disperato sgomitare per farsi sentire in mezzo al contemporaneo soggiornare d'altri incontri più che limitrofi. I grandi autori, quelli che vendono, al contrario, non hanno bisogno del Salone, perchè già, per conto loro, vendono ed è quindi piuttosto vero il contrario: è il Salone del Libro che ha bisogno dell'autore gettonatissimo.
Gli editori (in particolare i piccoli, quelli che svolgono la funzione del vero polmone di ciò che potremmo chiamare, perdonatemi, letteratura), nonostante i comunicati stampa trionfalistici del Salone, hanno venduto pochissimo più degli anni scorsi e i vuoti già percepiti quest'anno aumenteranno negli anni successivi, perchè, dopo un po', valgono i conti della serva: "D'accordo il Salone è una gran vetrina, ma quanto mi costa? Tra affitto dello stand e spese d'alloggio, quanti ostia di libri debbo vendere per andare in pari? Già sono nella merda perchè si vende pochissimo e allora perchè l'anno prossimo dovrei incasinare di più la mia situazione economica con stè spese che temo sia meglio evitare?". 
Hanno venduto tantissimo i grandi editori, quelli che stanno spezzando la schiena al mercato del libro medesimo, col loro grande vantaggio dei bilanci consolidati e la possibilità della scontistica pazzesca, rivelando ancora una volta una delle principali malattie italiane, assecondata immancabilmente pure a Torino: "umili con i potenti e boriosi con i modesti" che già "Uccellacci e Uccellini" qualche milione d'anni fa evidenziava. 
Magari il Salone è servito ai lettori: hanno finalmente trovato un sacco di libri e una scontistica interessante, ma qualora tenessero conto del biglietto d'ingresso e del costo della trasferta troverebbero una ragione nell'esserci stati se non l'assecondare l'anelito della transumanza verso ciò che i mass media essere la Mecca culturale torinese?
E poi, diciamocelo, tra tutti gli interventi che ho ascoltato radiofonicamente, facendo finta di nulla, per esempio, sulla capziosissima questione di cosa ci facesse una mente eminente come quella di Luca Barbarossa a condurre la diretta dal Salone del Libro per Radio2, non so come mai mi sia capitato d'ascoltare una risposta sensata alla domanda: "Ma perchè in Italia si legge così poco?".
Prescindendo dal fatto che questo è un problema che in Italia s'è sempre evidenziato, ma supponendo di volerlo risolvere, una possibile soluzione deriverebbe da una semplice constatazione: "Ma com'è possibile risolverlo se lo stato stanzia sempre minori fondi alla cultura, senza che nessuno, di destra o di sinistra, prenda una fortissima posizione contro questo stato di cose? All'estero, per esempio, non si manca di sovvenzionare i piccoli editori che sviluppino particolari temi narrativi o saggistici, come mai in Italia no?". Ho sentito migliaia di circonlocuzioni persino ai magnanimi microfoni di Fahreneit, ma nessuno che auspicasse una buona volta un preciso intervento della politica in questo senso. Ma come mai?
La risposta purtroppo è, ahimè, cinquestellare. I capoccia del Salone, per la loro stessa posizione, sono legati a doppio filo con gli apparati politici o di derivazione politica: enti parastatali, università, fondazioni sostenute da ciò che rimane del finanziamento pubblico. Chi cazzo volete che si erga dalla cintola in su a rimproverare aspramente chi consente loro di tenere famiglia e anche una bella famiglia?
Perciò è inevitabile che il Salone non giovi a nessuno, se non alle chiacchiere da bar della cultura e dell'ovvio e se non al Salone stesso, che se ne frega del Salone Off incastonato nei posti più improbabili del tessuno urbano di Augusta Taurinorum, delle corde vocali dei relatori negli stand che si sgolano per farsi sentire, delle case editrici mediopiccole e delle librerie sempre più nella merda. Ciò che è importante è la visibilità del SALONE DEL LIBRO DI TORINO. E' importante che ci siano i Barbarossa, le televisioni, anche quelle che hanno fatto fortuna spezzando le reni alla qualità culturale delle emissioni, tutto ciò perchè è un soggetto economico e che dà pure da lavorare e, come tutti sanno, gli utili e i posti di lavoro (pur temporanei) oggi sono discriminanti importantissime per valutare l'importanza d'una manifestazione. Però, per quanto mi riguarda, il Salone non mi frega più, a meno che non diventi famoso perchè, come tutti sanno: "La grandezza della mia morale è proporzionale al mio successo".

giovedì 16 maggio 2013

INFERNO.

E' uscito "Inferno" di Dan Brown. Lo vedo in tutte le vetrine delle librerie. E cosa devo dire? So già che le persone che scrivono e pubblicano (volevo usare la parola "scrittore", ma non la voglio usare) sono incazzate marce perché i loro libri (anche i miei, voglio dire) non se li fila nessuno, mentre basta che Dan Brown scoreggi e son tutti lì ad annusarne le flatulenze. Ora io, qui, devo dire la verità. Io ho letto "Il Codice da Vinci" e posso giurare che per un giorno e mezzo non ho fatto altro che desiderare d'avere un po' di tempo per vedere come andava a finire. M'ha persino fatto venir voglia d'andare in Scozia per visitare la Cappella di Rosslyn, che secondo me non è poco. L'unico altro libro che ho letto di recente che m'ha fatto venir voglia d'andare in qualche posto, Praga per la precisione, è HHhH di Laurent Binet. E' chiaro che dopo quel giorno e mezzo di lettura febbrile non l'avrei ripreso in mano. Non è come, chessò, "Due Anni Senza Gloria" di Lodovico Terzi che ho appena finito di rileggere per la seconda volta o come "Memorie di Adriano" che mi porto pure in viaggio che non si sa mai che mi venga voglia di risfogliarlo per la sesta tornata. Non è come quei libri là, ma non dimentico il gusto di rimanere aggrappato a quelle pagine per scoprire dove ostia sarebbe stò benedetto Santo Graal e cosa c'entra stà Maria Maddalena. "Sì, sì, ma in America hanno una scuola per far saltar fuori stì best seller. Tutto stò schifo commerciale!". Allora, detto tra noi, a me che solo sentir parlare di scrittura creativa mi viene la cistite, in una scuola di quel tipo lì correrei alla svelta, perchè dev'essere la stessa scuola da dove è saltato fuori Thomas Harris, che a me piace un sacco (tranne l'ultimo quello della giovinezza di Hannibal Lecter), mentre i moralisti italiani non vanno aldilà di scrivere le solite cagate sui loro struggimenti esistenziali, di cui pensano che a qualcuno interessi, ma non interessano un cazzo a nessuno. Voglio dire se i prodotti sono "Inseparabili" e "Stabat Mater", oppure qualsiasi roba di De Carlo, allora 1000 volte meglio Dan Brown, che almeno non ti rompe i coglioni con belle frasi che non dicono un cazzo. Almeno dentro "Il Codice da Vinci" qualcosa si muove. C'è una storia che sventaglia da una parte all'altra. Per non parlare dell'altro filone esistenziale della Librolandia italiana: le disgrazie altrui. L'autismo, l'omicidio efferato e tutte quelle robe che scatenano il voyeurismo pietoso tanto caro alla cultura cattolica, "il culto delle ossa e dei cimiteri" come la chiamava Gore Vidal. Per cui, per quanto mi riguarda, anche se non c'ho che quei pochi euro, credo che li spenderò in "Inferno", perchè preferisco cento volte quel giorno e mezzo di bramosia attorno a una roba che parli delle visioni (almeno credo, io mica ancora l'ho comprato e non so di cosa parli) infernali di Dante Alighieri che uno m'impietosisca sui drammi esistenziali d'un povero tetraplegico, che, tra parentesi, conosco molto bene, ma sono fondamentalmente cazzi miei e di quello a cui è capitata la sventura. Molto meglio Dan Brown che i beccamorti della pietà di cui in Italia siamo stracolmi. E per quanto riguarda Faletti? Beh è chiaro che uno che abbia letto prima James Ellroy ai libri di Faletti dà fuoco subito, mentre se comincia da lì, dal buon ex-cabarettista voglio dire, allora li leggerà fino a che non incontrerà qualche anglosassone coi coglioni e darà fuoco ai libri di Faletti successivamente. Comunque sempre di fuoco si tratterà.

lunedì 22 aprile 2013

HO TROVATO L'INVASOR.

Sì ho sempre brandito la canzone "Bella Ciao" come un vessillo, ma sempre di più, mano a mano che procedo in un'opportuna attività istruttoria, mi pare che ci sia qualcosa che tocchi e m'accingo a raccontarlo.
"Questa mattina mi sono alzato e ho trovato l'invasor". Purtroppo cari autori della canzone e cantanti a squarciagola i tedeschi non erano invasori. Erano seguaci del partito nazista, con tutti i loro difettucci (penso si colga un certo sarcasmo nello scrivere "difettucci"), ma non erano invasori. Erano in Italia, fino all'8 settembre 1943, in quanto alleati e in quanto l'Italia era entrata in guerra al loro fianco senza mezzi e senza troppa voglia. Diciamo giusto per sedersi dopo, massimo, un mesetto al tavolo dei vincitori (i germanici per l'appunto) e portarsi via un po' di ciccina. Ma le cose non andarono proprio come gli italiani s'aspettavano. Allora i tedeschi per dare man forte all'alleato nella penisola strategica avevano inviato un po' di divisioni. Per chi non lo sapesse, e contrariamente a quanto si crede ce ne sono molti, l'Italia era alleata della Germania e del Giappone. Dopo un po' di degne furbatine, che ricordano molto recenti comportamenti italiani, Vittorio Emanuele, Badoglio e Ambrosio, non capisco perchè tutti piemontesi che a me i piemontesi stanno generalmente simpatici, firmarono l'armistizio e colsero il lasso di tempo tra la firma e la diffusione ufficiale della notizia per filarsela in zona meno popolata dai tedeschi, Brindisi per la precisione. Lasciarono la nazione abbandonata, ritenendo che, di certo, i tedeschi se ne andassero immediatamente, consentendo di buon grado e con gran senso dell'ospitalità agli anglo-americani di risalire, diciamo in dieci giorni, fino al Brennero, per poi riprendere cavallerescamente i combattimenti non appena gli alleati avessero oltrepassato la linea di confine. Per cui, cari compatrioti cantanti, non c'era nessun invasore in Italia, solo un ex-alleato che l'Italia, prima che fosse troppissimo tardi, aveva mollato. Serviva una "guerra di liberazione" per sancire il nuovo stato italiano, possibilmente monarchico, ma non tutte le ciambelle riescono col buco, e ci si inventò l'invasore: dimenticando che l'invasore lo si era accolto a braccia aperte, come il migliore dei protettori. Ma adesso, con scatto bruciante, eravamo gli eroi della guerra di liberazione, e ora dovevamo pure provvedere a presentarci al mondo come i buoni italiani, nonostante l'insignificante legame col Terzo Reich, che tanto buono non era.
Per diventare buoni italiani contro i nuovi cattivi che, dopo il crollo del Fronte Orientale e la devastante avanzata dei comunisti nelle steppe fino ad arrivare un po' troppo vicino al confine dell'attuale Friuli, erano tornati ad essere i bolscevichi, allora bisognava ingegnarsi un poco. Bisognava trovare dei riprovevoli crimini che servissero allo scopo. Non ci si mise moltissimo: i bastardi comunisti avevano infamemente infoibato i buoni italiani nelle fenditure del Carso, questi inumanoni senza Dio. Sì, sì, verissimo, ma ci si dimenticò, a bellissima posta, che solo 4 anni prima i medesimi buoni italiani avevano ben "lavorato" la Slovenia, così tanto che la Jugoslavia chiese alla Commissione Alleata la consegna dei generali Roatta, Robotti e Gambara per processarli come criminali di guerra, ma il caso volle che tutti e tre fossero spariti misteriosamente dopo la Liberazione. Ciò nonostante a tutti risultò lampante che i crimini di guerra italiani in Slovenia e Dalmazia erano sciocchezzuole, mentre le foibe niente affatto. Erano un'aberrazione. Non a caso il confine di Trieste era anche la precisissima separazione tra il bene e il male, dove scaturiva il confine tra l'Est e l'Ovest.
Sì s'era diventati eroici e buoni italiani e si poteva sorridere soddisfatti, sempre che si riuscisse a dimenticare davvero il passato recente: una parte della propria storia. E' comprensibile, del resto: a nessuno piacerebbe farsi dare gratis del doppiogiochista, ma è proprio questo incancrenito passato che costruisce la fisionomia dell'italianotipo che, di tanto in tanto, emerge con tutta la sua rotonda schifezza.

lunedì 15 aprile 2013

APRILE, MAGGIO e PURE GIUGNO e UN PO' DI LUGLIO in giro a far spettacoli.

22 aprile 2013 ore 21.00.
Prima serata di Villa di Scienza e di Pensiero, Villa di Caldogno (Vi).
IMERIO E LE DUE RUOTE, lo Spettacolo d'Imerio.
Per la prima volta con, in persona, IMERIO MASSIGNAN.
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

23 aprile 2013 ore 21.00.
Negozio di cicli R Alfier Free Time and Bike, Via San Pio X, Castelfranco Veneto.
IL RITORNO DEL CANNIBALE, in occasione della ristampa dell'"Ombra del Cannibale", uno spettacolo su Eddy Merckx.
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

29 aprile 2013 ore 10.00.
Palaloria.
STORIA DI GAMBE per i ragazzi delle scuole medie di Riese Pio X e Altivole.
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

10 maggio 2013 ore 21.00.
Sala di Villa Gradenigo, Riese Pio X (TV).
STORIA DI GAMBE, lo Spettacolo del Ciclismo.
Con le biciclette della collezione di Gianfranco Trevisan e
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

12 maggio 2013 ore 17.00
Caneva dei Biasio, Cendrole di Riese Pio X (TV).
CALICI DI LIBRI.
LIBRI O NON LIBRI aka CAMUS ERA PORTIERE DI CALCIO.
In solitudine.

18 maggio 2013, ore 21.00.
SALONE OFF, Salone del Libro di Torino.
Circoscrizione 3, Piscina Trecate, Torino.
TRA IL CANNIBALE E IMERIO, una porzione di STORIA DI GAMBE.
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

21 maggio, ore 18.00
Libreria Galla, Vicenza, in occasione dell'arrivo della tappa Caravaggio - Vicenza del Giro d'Italia.
LO SPETTACOLO d'IMERIO
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

26 maggio, ore 13.30
Ponte a Elsa (FI), in occasione del pranzo dei ciclisti toscani.
LE STORIE DI GASTONE NENCINI E FIORENZO MAGNI
In solitudine.

8 giugno, ore 19.30
Castelfranco Veneto (TV), sagrato del Duomo e del Bistrot San Giustino.
L'ARTE DEL MAIALE: riflessioni spettacolari sulla norcineria
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

12 giugno, ore 21.00
Libreria di Palazzo Roberti, Bassano del Grappa (VI).
Con la benedizione di Francesco Nicolli:
LO SPETTACOLO D'IMERIO
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

23 luglio, ore 21.00
Soave (Vr). Sede esatta da precisare, con la collaborazione della Libreria Gulliver di Verona.
LO SPETTACOLO D'IMERIO
Claudio "The Cek" Cecchetto, fisarmonica.

giovedì 4 aprile 2013

TRA PAUL BOSS E GHOST DOG (aka IL BLUES DELL'UOMO DELLA MEDICINA)

Credo sia stata la visione di "Ghost Dog" di Jim Jarmush a farmi propendere per il verso hagakuriano della vita. In altri termini io sono uno che cerca sempre il Maestro: uno che faccia da faro quando io non capisco più un cazzo di ciò che m'accade attorno. Accade ora che tribolo attorno ai libri, ma è accaduto anche un bel po' d'anni fa - ma neanche tantissimi a ben vedere - quando arrancavo nel mare magnum del blues. Allora, nei miei anni convulsi che vanno più o meno dal 2002 al 2008, ho trovato i miei pivot in 3 personaggi della scena blues italiana. Intendiamoci, ho instaurato buonissimi rapporti con molti che conservo, ma i punti di riferimento sono stati tre. Claudio Bertolin, Oracle King e Paul Boss. Uomini diversissimi tra loro. Tanto oscuro è Claudio, tanto rodomontiano è Oracolo, tanto intercalante tra l'uno e l'altro, ma inesorabilmente dotato degli Stivali delle Sette Leghe Paul Boss. Ciascuno di loro però si erge dalla cintola in su nel panorama bluesistico: mica solo per come suonano, perchè delle volte s'incapponano in accordature che neanche Little Willie John ubriaco riuscirebbe a incartapecorire così tanto, ma per come cantano e, soprattutto, per IL CARISMA travolgente. Sono uomini che non puoi fare a meno di notare, che non puoi fare a meno d'avvicinare e che capisci subito, non si sa per quale motivo, ti possono passare della gran forza che t'aiuta a star a galla se stai per affogare. Non c'è un motivo. Dio ha dato loro la "luccicanza" e a nessun altro. Non c'è ragione d'incazzarsi se l'ha data a loro e agli altri no: quel giorno è andata così. Non è un caso, secondo me, che Oracolo e Claudio abbiano buttato fuori dischi decisivi per il blues italiano: dischi che hanno tutto il passato addosso, ma che frombolano in un proprio, personale futuro. Due di quelle due manciate di dischi che del blues italiano s'hanno da salvare. "The Blues Is a Lonely Road" e "No Place To Go" fanno paura. Credo d'averli ascoltati 500 volte ciascuno e mi danno sempre la stessa sensazione d'inarrivabilità. D'Angelo "Leadbelly" Rossi non parlo, che lo conosco poco, non ho mai suonato insieme, però l'ho ascoltato spesso e so che sarebbe stato il quarto PIVOT dei miei anni convulsi se avessi avuto l'opportunità di conoscerlo un poco: 2 dischi dei magnifici,diciamo, otto sono suoi: "Jump Up Song" e, soprattutto, "I Don't Want Take Nothin' With Me When I'm Gone". All'appello mancava Paul Boss e in questi giorni è arrivato "The Medecine Man" e non c'è stato verso di scappare dalla regola: un cd a tratti magnifico che fa comprendere come quelli con la "luccicanza" addosso sono condannati a non sbagliare un colpo. Una voce strepitosa, come se ne sentono solo nella lista dei pivot, con in più il solo Johnny La Rosa e una sensibilità pazzesca, incastonata, ancora una volta non si sa perchè in un omone sghembo d'un quintale e qualche cosa. Dentro a "Medecine Man" c'è il semplice slide da favola d'Umberto Porcaro, che cancella d'un colpo tutti i bellimbusti dell'effetto scenico a tutti i costi che girano per i palchi, lasciando sul posto solo un po' di gel per capelli e forfora scongelata e l'armonica di Max Lugli che, pur essendo io apertamente idiosincratico nei confronti dello strumento che suono io stesso, è suonata con un gusto gigantesco, perfetta dietro la voce e districata come si deve in assoli niente affatto facili per come Paul Boss ha pensato il disco. "Too Much", "56", "Jessie James", "The Weight" sono capolavori e persino la rilettura di "Can't Be Satisfied", che se fosse stata para para m'avrebbe scassato il cazzo, è entusiasmante. E poi, una cosa di cui non si parla mai, quelli che han registrato: Giacomo Lagrasta e Michele Paglia. Il mondo del blues italiano è lastricato di buone intenzioni che portano all'inferno, perchè accade sovente che l'ansia di registrare in questo o quello studiolo non faccia porre la domanda: "Ma siamo sicuri che i fonici abbiano anche una pallida idea del genere musicale che si va a registrare?". In positivo mi vengono in mente i dischi dei Jacknives di Marco Pandolfi e anche "Close The Bottle When Your Done", registrati da chi del blues ne ha ascoltato, in negativo nessuno, per l'amordiddio, perchè altrimenti scoppierebbe il putiferio. Giacomo e Michele (MRS Modular Recording Service) hanno ottenuto con praticamente nulla tutto ciò che si può ottenere da un cd di blues, solo perchè sapevano benissimo di cosa si stava parlando. E non crediate sia poco.
Questo solo volevo dire. Finalmente un nuovo disco che mi riconcilia con il blues.
Chapeau, Paul.

lunedì 25 marzo 2013

IL CURIOSO CASO

Ciò che mi stupisce è che mi chiedano di continuo quanto io sia appassionato di ciclismo. Sì lo sono, ma non alla stregua di molte altre persone che, per esempio, incontro agli spettacoli. Questi lo sono molto più di me. Io sono molto più appassionato d'avventure che, per esempio, di ciclismo e il fatto che la mia generazione (o quantomeno quelli della mia età) sia cresciuta attaccata alla televisione a guardare le partite di Gigirriva o la sfida inesorabile tra Merckx ed il resto dell'umanità m'ha pesantemente condizionato. Nel senso che le avventure per me erano appunto queste: Giggirriva imbeccato da Rivera, che fa due passi a sinistra e tira di precisione nella selva di gambe di difensori messicani e batte Calderon, oppure, il colmo del dramma, Bitossi che perde il mondiale di Gap. Poi, vabbè, anche "Quo Vadis?" e "I Ragazzi della Via Paal", ma soprattutto i miei eroi sportivi. Per questo, alla fine, finisco sempre per imbattermi in libri fatti a quel modo. L'ultimo gran romanzo che ho letto era "Il Professionista" di WC Heinz, uscito per Giunti l'anno scorso, che spero non partecipi al Bancarella Sport, sennò è finita per tutti, che guardacaso parlava d'un pugile, d'uno sfidante. Una grandissima scrittura che disarmava e che mi piacerebbe sapere quanto possa aver venduto nel gran mondo librario italiano. Alla stessa altezza, adesso, c'è un altro libro: "Il Curioso Caso di Sidd Finch" di George Plimpton, che ho terminato ier sera: che racconta d'un lanciatore di baseball fantasma. Persino inglese, ma infiltrato da cognizioni cosmiche buddistiche, che sconvolge il mondo dei New York Mets. Ora leggere quel libro è stato un piacere, un po' incrostato dal fatto che fosse il primo libro che ho ultimato quest'anno. Embè, cosa ci posso fare? Se un libro non m'acchiappa alle prime pagine io lo mollo immantinente, magari offrendogli la possibilità d'essere letto quando avrò un mood diverso (a chi sgemba la bocca pensando che sono presuntuoso a osteggiare autori importanti che hanno scritto capolavori, rispondo che con i libri che acquisto faccio un po' che cazzo mi pare, che mi porta a pensare alla memorabile frase di Margherita Oggero durante Bolascolegge che riferendosi ad un collega scrittore che si lagnava di come un suo libro fosse stato mal trattato dalla riduzione cinematografica, essendo un libro COME UN FIGLIO, affermava: "e cosa c'entra? Un figlio mica si vende!"). Sì a fine marzo ho letto solo un romanzo: "Il Curioso Caso di Sidd Finch", ho dovuto seguire un sacco di robe a mia parziale giustificazione, ma un solo libro in tre mesi è poco. Fino a poco fa ero sconsolato, ma poi ho letto il rapporto sullo stato dell'editoria italiana nel 2012. E già solo leggere un libro all'anno in Italia, con entusiasmo mi colloca d'amblè nella percentuale del 46% degli italiani che in un anno hanno letto almeno un libro. Cioè solo leggere "Il Curioso Caso di Sidd Finch" mi fa scavalcare d'un passo unico già il 54% del paese, che non legge un cazzo. Adesso comincio "Il Migliore" di Malamud, un altro gran pezzo di scrittore che trova il pretesto per scrivere un romanzo nel baseball, e una volta finito chissà quanta parte d'Italia avrò già saltato. Da ciò segue la domanda: "Ma non è che sia un indicatore che in Germania almeno l'80% delle persone legge almeno un libro, che fa pensare che potrebbe essere per quello che loro ci spiegano passin passino come accidenti dobbiamo fare per venir fuori dalla merda?". E la domanda successiva: "ma che cazzo di sistema scolastico e familiare ha portato ad avere nell'Italia d'oggi solo il 46% delle persone che leggono libri?". E poi ancora: "ma perchè cazzo l'eccesso di offerta degli oggetti-libri non porta alla diminuzione del prezzo?, e per ultima: "ma perchè cazzo editori e autori se la tirano tanto sul loro mestiere e sulla loro ispirazione, se dei libri non gliene frega un cazzo, e sempre meno, alla maggior parte della gente?". 

giovedì 14 marzo 2013

BERGOGLIO BLUES

Appena eletto il papa, argentino, presumibilmente porteno, non so se stia dentro o fuori alla General Paz per definirlo tale, ho visto sulla community che bazzico un sacco di post legati al suo passato di vicinanza alla dittatura argentina durante gli anni dei "voli della morte". Quando ho scritto la "Storia Balorda" mi ci sono ficcato a pesce dentro a quel bailamme che era "La Guerra Sporca", ma ne sono riemerso con la consapevolezza di poter solo "descrivere" alcune cose piuttosto che "sentirle" veramente. Ho scritto dell'Argentina, ma non ci sono mai stato, per questo posso solo descrivere. Conosco dei boludos che m'hanno raccontato molte cose, ma io non mi sono mai mosso da Castelfranco Veneto. Ho scritto dei centri di detenzione clandestina a Rosario, ma non ci sono mai stato e ho scritto come potevo. Il complimento più bello a quel libro l'ha fatto Franco Terzera, un appassionato di Novara, dicendo in una piccola televisione privata che ne "La Storia Balorda" non c'era moralismo. E' un commento che mi fa piacere semplicemente perchè la STORIA (la disciplina scientifica) non si piega o non dovrebbe piegarsi al moralismo. L'ho imparato leggendo e preparando i libri che poi ho scritto.
Chi critica pesantemente Bergoglio dovrebbe, prima di prendere posizioni così nette, rileggere Massimo Carlotto nelle "Irregolari", esattamente dove, ricordando Osvaldo Soriano, dice:
"Il ventinove gennaio morì Osvaldo Soriano. Frugando tristemente in un cassetto dove conservavo gli articoli che avevo scritto per Il Manifesto, mi capitò tra le mani un ritaglio che non ricordavo d'aver letto: Ricordando con Odio, pubblicato il giorno del giorno del 20^ anniversario del colpo di stato. Per Soriano la dittatura argentina era stata il male assoluto, non si poteva nè dimenticare, nè perdonare. "Continuano a sembrarmi imperdonabili i dialoghi e i flirt col potere di allora. I pranzi di intellettuali - i Sabato, i Borges, i Bioy Casares - con il generale Videla. La strategia della riverenza, l'ammicamento, la pacca sulla spalla. Era meglio prendere una strada sbagliata contro la dittatura che avere ragione obbedendole". Era tutta lì, in quell'ultima frase, la storia della ribellione argentina".
Bene cari detrattori di Bergoglio, avete libri di Borges, il sommo poeta, in casa? MALE! MALISSIMO!
Ricordo bene la scintilla iniziale della "Storia Balorda", sempre cooptata da un libro di Massimo Carlotto: "Perchè nel Cile del 1973 tutti i simpatizzanti di sinistra presero posizione contro la dittatura, mentre della dittatura militare scoccata il 24 marzo 1976 nessuno parlò?". La risposta sta sempre nelle Irregolari ed è estremamente meschina per il popolo di sinistra, sopratutto quello più estremo, che oggi irruvidisce la voce contro Jorge Bergoglio. Prima di scrivere "La Storia Balorda" ho letto la tesi di Andrea Maggiolo: Buenos Aires non finisce mai ed è sorprendente come, per esempio, "L'Unità" e i giornali della sinistra francese avvallino il regime di Videla, come "unica transizione possibile verso il ritorno della democrazia". Come le posizioni più contrarie alla situazione in Argentina siano assunte dal Corriere della Sera, piuttosto che dall'appena nata Repubblica o dalla già citata "Unità".
Mai come scrivendo quel libro ho avuto la sensazione che non esistano il torto o la ragione e che ciò che accade sia frutto di errori precedenti e che tutti siamo vittime, chi più e chi meno a seconda di quando è vissuto e di dove ha vissuto, delle circostanze della STORIA.
Mi va di citare, per rimanere a avvenimenti recenti che viaggiano più o meno sullo stesso binario, le posizioni sul fascismo della portavoce del MOVIMENTO 5 STELLE che tutti hanno stigmatizzato non sono invece da condannare. Involontariamente ha detto una cosa intelligente. Tutti oggi sono antifascisti, per l'amordiddio, ma sarebbe stato bello, ironicamente, ovvio, essere vissuti prima del 25 luglio 1943 per vedere cosa saremmo stati: la nostra percentuale d'eroismo. Sono curiose le testimonianze di quelli che ci furono davvero, di come rimassero sbigottiti di fronte a coetanei che prima si chiamavano Benito e che il 26 luglio si chiamavano Edoardo, Filippo, Andrea. Oppure mi piacerebbe avere per un istante la macchina del tempo e vedere come si comporterebbero tanti antifascisti di oggi di fronte al Bando Graziani, magari con un bel manipolo di soldati della Wermacht nelle vicinanze. Da che parte starebbero nonostante la loro certezza odierna d'essere ANTIFASCISTI!
Cari detrattori, a priori, di Bergoglio, mi piacerebbe che tutti c'attenessimo al detto biblico: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra", al quale dovrebbero, per esempio, attenersi quelli che, per esempio, si riempiono la bocca delle foibe o quelli che, di sinistra, io li ricordo benissimo come fosse ora s'attenevano a questo criterio in merito ai giudei.
"C'era poi da aggiungere l'incomprensibile e capziosa questione degli ebrei, che prima erano stati dipinti nudi e smunti, povere vittime sacrificali nei campi di sterminio di Hitler, e poi s'erano d'improvviso trasformati in pericolosi reazionari nei gulag di Stalin".
Il motivo per cui la Chiesa esiste e vince è perduto nella notte dei tempi, i più ingenui lo racchiudono in un sogno di Costantino, ma non è così: è l'insinuarsi nelle classi più abbienti romane che ne determina il potere. Un "Simply Twist Of Fate" l'ha condotta a vincere la battaglia sul Culto di Mitra dal quale ha assorbito molti tratti e da lì e diventata ciò che oggi è: un centro di potere che ha a che fare con altri centri di potere. Chi ne invoca il ritorno al francescanesimo è un povero illuso, sepolto da millenni di storia. Non s'è mai sentito parlare d'un cardinale poverello, al massimo uno rimane vescovo e magari ucciso da una patota come Enrique Angelelli il 6 agosto 1976, proprio in Argentina.
Perchè, nel caso non lo si sapesse, la Storia macina gli uomini.

lunedì 4 marzo 2013

IL BLUES DEI "LIBRI SPORTIVI"

Beh, è una domanda che mi son fatto molte volte, magari anche qui sul blog e soprattutto adesso che m'hanno inserito nel manipolo di "scrittori" di www.scrittoridisport.it. Come accidenti è che in Italia esiste la letteratura sportiva staccata da tutto il resto della letteratura? Cioè come mai da una parte c'è la letteratura e dall'altra la letteratura sportiva, come un'immagine diafana di una cosa ben più importante? E' una questione che mi sarebbe piaciuto sottoporre al "Bancarella Sport", ma mi pare che il premio s'interessi di più al cercare consensi attraverso l'esibizione di personaggi pubblici, più che alla scrittura. Cosa peraltro giustificabile. Non è solo una questione solo di "Bancarella Sport", è una faccenda che caratterizza l'intero ambiente letterario italiano: visto che le case editrici non hanno soldi da investire in promozione, è la fama dello "scrittore" che sopperisce al gap d'investimento. Ciò nonostante se si legge "Il Migliore" di Bernard Malamud ci si chiede: "Ma in Italia lo considererebbero letteratura sportiva o LETTERATURA?". Cioè "Il Commesso" starebbe in uno scaffale e "Il Migliore" in un altro, benchè siano stati scritti dallo stesso autore e con lo stesso imprinting che fa dire a Philipp Roth che Malamud è uno dei migliori scrittori della sua generazione? Analogamente "Il Professionista" di W.C. Heinz, che parla di pugilato, uno dei più bei romanzi, forse il più bello, che ho letto nel 2012, dove potrebbe essere collocato? A fianco della biografia di Ibrahimovic? E poi, forse in questo momento per me, l'esempio più eclatante "Il Curioso Caso di Sidd Finch" di George Plimpton, acquistato alla Libreria Therese di Torino, la più bella libreria al mondo insieme alla Gang del Pensiero, sempre nella medesima città, che nessuno può affermare essere un libro sul baseball, ma bensì uno dei capolavori più (è una sorta di doppio superlativo rafforzato, me lo brucerebbero subito, con tanto di pedata sul culo, se ci fosse un editor, ma qui il mio editor sono io, uno dei supervantaggi della democrazia liquida) assoluti della letteratura degli ultimi anni, dove lo mettiamo? A fianco dei "Portieri del Sogno", una misera sinossina del ruolo più affascinante del mondo, però pubblicato da Einaudi, che una volta pubblicava "Memorie di Adriano" e "Se questo è un uomo?" e pure "Futbol" d'Osvaldo Soriano?
Già, di questo mi piacerebbe si parlasse al Bancarella Sport, che le menti nell'organizzazione ci sono per farlo. Mi piacerebbe proprio capire perchè non si coglie la metafora dietro Italia - Germania 4 a 3, con Schnellinger e Burgnich che segnano proprio lì, all'Azteca, nella partita in cui tutto dovrebbe essere controllato, ma non lo è affatto, se non gli unici, i quasi unici gol della loro carriera. Oppure perchè, nonostante l'ESMA fosse a cinquecento metri dallo Stadio Monumental di Buenos Aires, e le patotas al massimo dell'effervescenza, nessuno tra gli italiani si sia posto il problema del perchè così tanta gente, e spesso connazionali, sparisse nel nulla proprio nei giorni del mondiale 1978. Sì sì, mi piacerebbe un incontro tra il "Bancarella Sport" e "Futbologia", magari per riuscire a comprendere come per un bambino che non legge un accidente, suggerirgli un libro che parli d'eroi sportivi trattati come Dumas tratta D'artagnan, Porthos, Aramis e Athos, potrebbe essere un buon punto di partenza. Magari, dico. E magari si capirebbe pure come uno dei maggiori scrittori italiani di questa generazione, conosciuto da pochi, ma decisamente uno dei maggiori, alla faccia di tanti altri che sfrugugnano in libreria, Marco Lazzarotto, abbia messo a tutti i personaggi importanti del "Ministero della Bellezza", il suo ultimo libro che non parla affatto di sport, cognomi di bomber di grandi speranze, ma naufragati nel mare magnum del calcio moderno. E questo anche per spiegare ai soloni come mai Camus abbia deciso di mettersi a scrivere solo perchè la tubercolosi gli troncò la carriera di portiere.

venerdì 22 febbraio 2013

CD E LIBRI NELLA DEMOCRAZIA LIQUIDA (aka Il Cane che si Morde la Coda)

Una domanda che ci poniamo spesso quando ci ritroviamo tra amici è come mai musica e, con meno incisività nel calcare la frase perchè il sottoscritto crede di conoscere ancora (avverbio di tempo e non aumentante d'un avverbio di quantità) di più il mondo della musica (il blues in particolare), letteratura (parola che uso sempre non volendola usare, perdonate pure le parentesi, che ugualmente non amo usare e che, giuro, in questo post non userò mai più) siano a un livello così basso rispetto a un tempo. E' una questione rocambolesca, perchè da un certo punto di vista, porsela è sinonimo di vecchiaia incombente e incapacità di capire un'ostia delle giovani generazioni, ma, altrettanto rocambolescamente, supponiamo che quanto appena detto non abbia valore: cioè che non siamo vecchi babbioni incartapecoriti.
Ora il mio personale punto di vista è che l'avvento di internet, così fortunato per molti punti di vista, dal punto di vista dell'incisione di musica e della scrittura dei libri non sia propriamente positivissimo.
L'esempio più pratico viene, per esempio, da un "musicista", nel senso che suona in pubblico, che conosco che, non avendo per vari motivi un sufficiente "background" musicale, ha avuto la geniale pensata di scaricarsi tutto il musicabile da un database di tracce mp3 da "Abba" fino a "Z.Z. Top", sostenendo soddisfatto di aver, in questo modo, colmato la sua lacuna. Internet consente anche a chiunque di pubblicare nel public domain le proprie creazioni musicali, senza dover passar necessariamente da direttori artistici che, con molte probabilità, direbbero: "Senti questa roba ficcatela nel culo. Fa schifo!". Poi, tutto attorno, ci sono le community che consentono di condividere la porcheria e, magari, fare in modo che qualcuno dica MI PIACE, perchè si trova sempre qualcuno più basso del proprio attuale stato d'ignoranza. In questo senso credo sia preferibile l'oligarchia d'un tempo alla democrazia liquida. Lo stesso vale per i libri. Sempre di più c'è chi sostiene d'essere uno SCRITTORE perchè pubblica in internet. Probabilmente pubblica in internet perchè non ha trovato nessun direttore editoriale che ha voluto credere in ciò che ha scritto, o che gli ha detto: "Guarda che un libro non è un tema di terza media, solo più lungo!" oppure non è disponibile a sostenere il ruolo del francescano ricoperto di sacco che bussa umilmente alle case editrici, quelle non a pagamento, obviously. In effetti è dura accettare che qualcuno ti dica: "Beh, guarda, non ci siamo proprio!". Allora ci sono due strade: o si cerca di analizzare perchè non va oppure si manda a cagare l'interlocutore che non capisce un cazzo di quanto sia meraviglioso il proprio, medesimo genio, e ci si affida alla calda ospitalità di internet o delle case editrici a pagamento.
E' ovvio che qualcuno mi chiederà: "Ma perchè tutti questi bei e sofisticati ragionamenti non te li ha pubblicati IL MULINO o MICROMEGA e li hai dovuti affidare alla democrazia liquida, bel somarone?". Perchè, alla fine, è solo un cane che si morde la coda e io mica sono più d'un cane.

martedì 12 febbraio 2013

PROSSIMI APPUNTAMENTI (a Dio piacendo)

Soggetto a variazioni laddove segnalato:


10/5 ore 21.00 RIESE PIOX (TV), sala comunale di Villa Gradenigo, "Storia di Gambe" con Claudio Cecchetto, fisarmonica e le biciclette di Gianfranco Trevisan.

12/5 ore 17.00 CENDROLE DI RIESE PIO X, Calici di Libri. In solitudine. Libri o Non Libri?

18/5 ore 21.00 TORINO, SALONE DEL LIBRO OFF, Circoscrizione 3. STORIA DI GAMBE, tra IL CANNIBALE e IMERIO, con Claudio "Cek" Cecchetto, fisarmonica.

21/5 ore 18.00 VICENZA, LIBRERIA GALLA, Il Racconto d'Imerio, con Imerio Massignan. Claudio  "Cek" Cecchetto, fisarmonica.

22/5 ore 20.30 ALTAVILLA VICENTINA, Sala Comunale, nel "Giorno d'Imerio", "Il Racconto d'Imerio" in solitudine, ma con Imerio Massignan.

26/5 ore 13.30 PONTE A ESA (FI), il monologo di Gastone Nencini e Fiorenzo Magni, in solitudine.

8/6 ore 19.30 CASTELFRANCO VENETO (TV), sagrato del Bistrot San Giustino, L'ARTE DEL MAIALE con Claudio Cecchetto, fisarmonica.

9/6 ore 18.00 PAVIA, Libreria Delfino, ALBERT CAMUS ERA UN PORTIERE DI CALCIO aka L'opera Omnia di mè stesso medesimo.

12/6 ore 21.00 BASSANO DEL GRAPPA (VI), Libreria di Palazzo Roberti: IMERIO, LO SPETTACOLO con Claudio Cecchetto, fisarmonica.

25/6 ore 21.00 BOJON (VE), Centro Civico, ALBERT CAMUS ERA UN PORTIERE DI CALCIO, in solitudine.

23/7 ore 21.00 SOAVE (VR), in collaborazione con Libreria Gulliver di Verona: IMERIO, LO SPETTACOLO

lunedì 21 gennaio 2013

GUARDANDO DJANGO LIBERATO

Io sono uno di quelli che aspetta i film di Tarantino. Che li va a vedere sempre due volte. In anni più o meno recenti solo "Non è un paese per vecchi" l'ho rivisto due volte, pur non essendo di QT. Perciò non appena il mio corrispondente di Torino m'ha detto che Django era in sala mi sono fiondato nella prima sala cinematografica che lo proponesse. E per uno come me, nato e cresciuto coll'accompagnamento dei blues, è stato uno sballo. Quando è passata la scritta in rosso, più grande dello schermo, MISSISSIPPI, a momenti mi mettevo a piangere. So esattamente cosa disse Martin Luther King nel celebre "I Have a Dream" del Lincoln Memorial il 28 agosto del 1963. Disse: "Ho un sogno. Che PERSINO lo stato del Mississippi così tanto traboccante di ingiustizia e di oppressione sia un giorno un'oasi di libertà e giustizia". E' il PERSINO che spiega cosa fosse il Mississippi. Non era l'Alabama o la Georgia dei cavalieri bianchi del KKK. ERA PEGGIO. Come si vede nel film i cani sbranavano gli schiavi fuggiaschi, e secondo me, ancora adesso nel Sud, mica sono tanto contenti di vedere il film, e QT c'ha risparmiato gli stupri, bontà sua. Ecco, magari solo "Mississippi Burnin'" ha martellato quei tastini un pochettino ancora dolenti. Davvero quando ha parlato di Greenville, Mississippi, a momenti mi mettevo a piangere, ma s'accende la luce e compare INTERVALLO.
Io sono lì con le lacrime agli occhi e subito dietro a me, nella Multisala Manzoni a Paese, provincia di Treviso, sento una voce di ragazza che dice:
"Beh! sì non è male, ma c'è troppo sangue, ogni volta che ci sono quelle scene di eccessiva violenza io guardo il soffitto".
La MIA MENTE, non la mia bocca, parte alla svelta. "Ma, D.C. (uso le iniziali d'un intercalare decisamente molto, ma molto blasfemo) se odi il sangue che cazzo sei venuta a fare ad un film di Tarantino? Che c'è più sangue che nella scena del massacro finale nel campo di Mapache nel Mucchio Selvaggio...".
"Beh sai ho scelto di venire allo spettacolo delle otto, perchè domattina devo andare a messa presto, che poi devo fare una cosa verso le undici per la parrocchia...".
La MIA MENTE: "Ah D.C., D.C!".
E poi con voce di saputella sul tema: "Poi su questi temi ho letto "Le Avventure di Huckelberry Finn", che parla d'un ragazzo e un NEGRO che scappano, che allora era molto pericoloso...Vabbè che è un libro per ragazzi...".
La MIA MENTE, ma ormai anche la mia bocca stanno per partire in un: "Ciò brutta basabanchi (in italiano significa più o meno "bigotta", ma basabanchi è di più) Huckleberry Finn un libro per ragazzi? Le scuole cattoliche t'hanno proprio spappolato il cervello senza bisogno del fucile a pompa!". Di bestemmie ne ho sentite tante, ma che Huckleberry Finn è un libro per ragazzi è una delle peggiori. Di fronte a una così bestiale blasfemia stavo per girarmi e mandarla a cagare di fronte a tutti, quando un ragazzo albanese, seguito da un ragazzo indiano, quindi scuro di carnagione, sono venuti fuori dalla fila e si sono diretti verso l'uscita per andare a prendere un paio di soft drink. Un amico fà loro: "Beh! Dove andate?" e il ragazzo albanese preso dalla tarantinata risponde: "Beh! Mi porto via il negro". Lì il cinema è esploso e io ho avuto la chiara percezione che la parte migliore degli italiani saranno senza dubbio gli immigrati di seconda generazione. Grazie anche per questo, Quentin!

giovedì 17 gennaio 2013

LO SCRITTORE (O ANCHE IL MUSICISTA, PIU' O MENO E' LO STESSO)

E' il 50^ post del blog perciò riveste una particolare importanza e come tale va trattato. Buona lettura miei bazzicatori.

La parola SCRITTORE deve rivestire una serie di significati ancestrali che racchiudono elementi che attengono a una qualche sorta di sciamanesimo. E' bello farsi dare dello SCRITTORE, è come essere una specie umana che si distingue dalle altre perchè riesce a cogliere aspetti insondabili dell'essere perlopiù  preclusi. Esattamente come i cani con gli ultrasuoni. Credo che l'effetto subliminale della parola sia legato alle prime quattro sillabe, SCRI, che ricordano molto il suono che fanno i sacchetti di patatine quando si appallottolano e si buttano via. Il piacere sta nel ricordo dello scrocchio sotto i denti, molto simile all'appallottolio, di quei veli gialli genialmente salati. Quello dello SCRITTORE è proprio uno status così. Uno status meraviglioso. Ma non è, intendiamoci, una professione: in effetti io ho conosciuto solo una persona che campa facendo solo quello. Lo SCRITTORE è uno stato dell'anima, e se uno ti dice che fa lo SCRITTORE non esprime una professione, ma una sensazione. E, alle volte, è talmente prorompente che nei documenti ufficiali compare come professione. E' uno SCRITTORE, ma per otto ore al giorno fa il ragioniere, oppure il fruttivendolo. Nei casi estremi uno è pure avvocato, ma minimizza, perchè in realtà, dice, vorrebbe fare lo SCRITTORE, e qualcosa ha già scritto e qualcuno gliel'ha pubblicato: magari pagando 2500 euro per 400 copie che dovrà provvedere a vendere in qualche modo, ma non ci saranno problemi perchè, gliel'hanno detto in casa editrice, ha lo stesso, uguale talento di Paco Ignacio Taibo II e la gente ci metterà poco a scoprirlo. Pensate che ho pure sentito dire d'un tizio incluso nei candidati di SEL per le amministrative che ha fornito quale professione l'attività che lo fa campare: pubblico esercente o barista, ma s'è ritrovato SCRITTORE nei santini elettorali, perchè aveva scritto quattro o cinque libri. "Ma cazzo! Io non campo mica scrivendo, io campo spinando birre!". La risposta è stata che lui era in realtà e non lo sapeva, intimamente SCRITTORE  e solo incidentalmente pubblico esercente. La pura realtà è che la parola SCRITTORE ammanta una persona di, come direbbe Paolo Conte, un"afrore di coloniali" (afrore è maschile o femminile? per via dell'apostrofo), e anche chi gli sta intorno, mentre la parola barista, possiamo dire così, lo connota d'altri odori che, vuoi mettere, mica sono così amusant.

Da molto tempo chi scrive (nel senso, io in questo preciso momento) sta su quel pericoloso cordolo in cui si fanno i conti per poter spiccare il volo. Ma quello serve per campare se non hai nessuna buonanima che ti foraggia: 20.000 euro lordi l'anno, per poter contare almeno su 12.000 euro netti. Per chi suona sono 100 gig a 200 euro a serata, o il contrario: 200 a 100. Per chi scrive sono 15.000 libri venduti all'anno (più apparizioni e via così). Se stai sotto c'è qualcuno che, in qualche modo, ti mantiene, oppure una discreta parte dei guadagni è, per forza, in nero. E' un segreto di Pulcinella, ma spesso gli ARTISTI non esistono per il fisco e neppure per la previdenza sociale, ma sono opinion leader e dicono la loro sulla società: soprattutto ora che internet e le community consentono la democrazia liquida e ogni scarrafone di carisma può condividere la sua opinione su varie piattaforme. A loro basterebbe chiedere: "Scusa me la fai vedere la tua dichiarazione dei redditi? Che magari va a finire che non hai partecipato alle spese per la tua operazione d'appendicite il mese scorso...", giusto per farli piantare di dire cagate sui difetti della società in cui vivono, ma, giustamente, mi si obietterà che non si può mescolare l'ARTE col fisco.

Se chi scrive (nel senso, io in questo preciso momento), di cui, magari, qualcuno di Voi ha letto un libro volesse lanciarsi nel mondo degli SCRITTORI, dovrebbe fare i conti con la cifra predetta: 15.000 libri venduti all'anno. Ma diciamoci una buona volta la verità: chi cazzo vende in Italia 15.000 libri all'anno? O 30.000 se scrive un libro ogni due anni? Come cazzo è possibile immaginare di poter campare di scrittura in un paese in cui i dati d'acquisto dei libri sono pari a quelli del Burkina Faso? Anche questo è un enigma (non ho messo l'apostrofo perchè secondo me "enigma" è maschile) della SCRITTURA. Come cazzo è che tutti parlano di libri e non legge nessuno? Come cazzo è che tutti brancicano e sbarbolano dietro a "Fahreneit" e saranno 5.000 persone in Italia che acquistano e leggono più di quindici libri all'anno?
Bisogna davvero aprirsi al senso di meraviglia. E' incredibile quanto i misteri della SCRITTURA siano enormi e avventurosi che quelli antichi di Eleusi sono robette per bambinelli con i denti da latte.

venerdì 11 gennaio 2013

IL MONDO PICCOLO E LA MELOMANIA

Beh! E' ovvio che gli amici fioriscano nel mondo che bazzichi. Nà volta sbocciavano soprattutto nel mondo della musica, mò invece crescono nel mondo dei libri: ma, chissà come mai, s'avvitano sempre in qualche modo col mondo della musica. Ier sera ho chiamato quello che reputo un buon nuovo amico per parlare di materie, per l'appunto, libresche (anche se "libresco" ha un significato, vocabolariamente, negativo, in questo caso s'intende che parlavano di robe attinenti ai libri) e lui mi fa: "Potresti richiamarmi, sai sono durante la pausa d'un concerto...". Insomma, è un ragazzo giovane (cosa che v'invito a prendere con le pinze, perchè aumento l'età-soglia della gioventù a seconda della mia medesima età), fresco e veloce, e la pausa del concerto m'ha insospettito: "E' musica classica!" ho pensato. In realtà non era musica classica, era musica operistica, e sono caduto dal pero. Non ho mai capito quelli che ascoltano musica operistica, anche se un mio zio ligure, ma d'origine reggiana, aveva tentato d'ispirarmi regalandomi "La Boheme". Io l'ho pure ascoltata, ma il disco è andato a finire sotto tutti gli altri, tanto per capirci. Io i melomani non li ho mai capiti, ma c'è un ma, e forse anche più di uno. Il primo "ma" è che sono un fan della "Barcaccia", il programma di Radiotre, che considero uno delle "emissioni" più pirotecniche della radio italiana, e Suozzo e Stinchelli due speakers sensazionali, che, come si diceva dei grandi cantanti di rhythm and blues, potrebbero leggere anche l'elenco telefonico e tu rimanere lì ad ascoltarli impappinato. Se un giorno m'appassionerò all'opera sarà gran merito di Suozzo & Stinchelli. Ma, come dicevo prima, c'è dell'altro. Il mio amico m'ha detto: "Sai ieri sera c'era Verdi...", come io potrei dire, "Beh, sai, ieri sera c'erano i Tinariwen...". E ho pensato a Giuseppe Verdi, alla sua casa natale delle Roncole, comune di Busseto, a cui son passato davanti tantissime volte nelle mie peregrinazioni nella Bassa, a caccia di nonsisachecosa, ma che forse sta dentro in gran quantità in "Bluespadano" e "Compagno di Viaggio", e anche un pochetto in "Imerio". La casa di Giuseppe Verdi è a due passi (forse venticinque passi) da quella di residenza di Giovannino Guareschi, uno dei più grandi scrittori italiani e gigantesco cantore della Bassa, come cerco di dire sempre, l'alter-ego italiano di Mark Twain. E' curiosissimo come due mondi, uno per me ben conosciuto e l'altro affatto sconosciuto, siano tanto adiacenti, proprio nel cuore del Mondo Piccolo (per me il cuore della Bassa Guareschiana, che è poi LA BASSA, sono Le Roncole, anche se altri dicono Diolo e altri ancora propendono per Zavattini e Luzzara). Come dicono i pramzan e anche le teste quadre: "C'è qualcosa che tocca!" se sono tanto appassionato della Bassa e non sono un melomane. Se il più grande batterista di blues in Italia è un melomane qualcosa vorrà dire. Qualcosa vorrà certamente dire. Se una volta ascoltavo il liscio me ne andavo alla svelta, mentre adesso suono con l'armonica "Fantasia Americana" e, un poco, "Bellezza In Bicicletta", qualcosa vorrà pur dire. Andrà a finire, lo so, che diventerò un melomane pure io. Minchia, nella vita succede di tutto.

p.s. visto che i blog che vanno per la maggiore sono quelli che parlano di cibo, mi ci metto anch'io, ma, d'altro canto, da nessuna parte come nella Bassa musica, cibo e lettura vanno tutte insieme in un unico continuum. A 10 passi dalla casa di Giovannino Guareschi (e quindi a trentacinque dalla casa natale di Giuseppe Verdi) c'è la Trattoria Alle Roncole, un posto meraviglioso dove ho mangiato. Alcuni mi dicono che aujourd'hui sarebbe chiusa, ma io non ci posso credere. Sarebbe come dire che il Cane Gringo della seconda storia del Boscaccio non è mai esistito.

martedì 8 gennaio 2013

MUSICA (di quello so parlare): CIACCOLE DIETRO ALLA TASTIERA.

Beh, se devo pensare di dedicare un blog a un argomento specifico, come fanno tutti i blogger che si rispettino, quelli che campano facendo i blogger (a me par impossibile che sia possibile, ma sembra accada davvero), allora mi tocca dedicarlo alla musica: con quella sono cresciuto e pare pure che, a un certo punto, si raccontasse che ne sapessi molto sull'argomento. Di certo, però, so che Lei m'ha pure insegnato a pensare di poter scrivere, grazie a un mezzo miracolo di libro chiamato "Natura Morta con Custodia di Sax", guardacaso proprio edito da Instar Libri. Allora se mi tocca per forza dedicarlo alla musica, comincio a raccontarVi cosa sto ascoltando adesso: Angela Hewitt, insieme a Ramin Bahrami, probabilmente la più importante interprete bachiana in questi anni. E' curioso, la pianista canadese m'ha molto affascinato, tanto d'avventurarmi nell'acquisto d'un cofanetto da 80 euro che mai e poi mai mi sarei potuto permettere, ma ora mi sto chiedendo cos'è che, in realtà, m'abbia attratto. Purtroppo devo ammettere che più che il suo pianismo, m'ha entusiasmato la somiglianza con Glenn Gould. E' dura da accettare, ma sembra sua figlia. E quindi impelle la domanda successiva, perchè una questione porta subito ad un'altra questione: "Come accidenti riuscire a sfuggire alla "genitorialità" artistica"? Beh! d'altro canto Gould ha suonato soprattutto Bach e quindi potrebbe sembrare che pure lui fosse ingabbiato nella translitterazione di Ferruccio Busoni, grande ribelle pianista del suo tempo, ma come già detto, invece, Gould appare ogni giorno più trasparente e al passo coi tempi. E' il fermarsi e cercare d'andare oltre, un po' per studio e un po' per caso, come accade per il blues, in cui il salto casuale è il sale della musica, che rende la musica ininvecchiabile. Jan Johansson è proprio così: conosce certo il jazz e Eric Satie, ma quel che tira fuori dal pianoforte è cristallino, suo proprio, come è il tocco di Glenn Gould. Ma grandi esploratori dello spartito come Gould e Johansson, contrariamente a ciò che dicono i professoroni della musica, hanno la stessa dignità d'un Muddy Waters che incide "Folk Singer", con tutte quelle riflessioni acustiche attorno al così tanto bistrattato blues, col gusto pazzeschissimo dei silenzi in "Captain, Captain" e delle pause che guardacaso sono pure i tratti rilevanti del pianista canadese e del jazzman svedese. Il blues, finisco sempre a parlare di Lui, se suonato col rispetto che merita raggiunge vette artistiche inusitate, che hanno pari dignità dei più celebrati componimenti, e questo per sconfessare drammaticamente quelli che, sorridacchiando, sostengono che è pure accetabile suonarlo un poco scordati. Un accidente di minchia. Bisogna rispettarlo perchè Blind Willie Johnson sta lassù insieme alla 5^ di Beethoven dentro a Voyager. Blind Willie Johnson non suonava scordato. Tutta questa riflessione è una consecutio d'un ascolto notturno, perchè il mio amico Luigi Tempera ha postato su un noto social-network un video di Otis Rush al festival blues di Montreaux nel 1986. Considero le Cobra Session del 1956 uno dei più grandi capolavori della storia del blues e, quindi, se sto dietro al ragionamento di prima, della musica, ma vedere la squallida esibizione di Montreaux m'ha lasciato a bocca aperta. Mica Otis Rush, lui fa quello che sa fare, ma la band alle sue spalle è devastante. Magari a qualcuno piaceranno i bassisti e i batteristi che sparano a 400 all'ora o i secondi chitarristi che sparano didascalie di frasi a manetta. A me fanno cagare, neri o non neri che siano. Credo che fermarsi e pensare sia necessario. Perchè la musica è una gran responsabilità. Davvero una gran responsabilità.