domenica 27 marzo 2011

LA VERITA' (TERZA ed ULTIMA PARTE)

Che i romanzi facciano la storia? Cioè, un romanzo può essere un documento storico? Direi ovvio che no. Un romanzo è un romanzo e la storia è la storia. Eppure James Ellroy deve aver studiato bene la storia per scrivere un romanzo come "American Tabloid", per esempio. Alcune prese di posizione debbono per forza essere supportate da un'inoppugnabile verità documentale per non essere vittime di una causa per diffamazione da milioni di dollari. Lo stesso Massimo Carlotto, durante la presentazioni di "Perdas de Fogu" e "Mi Fido di Te", dice che ogni qualvolta saltano fuori nomi e cognomi veri e fatti realmente accaduti è necessario avere per le mani documenti che comprovano una teoria e, meglio di tutto, sentenze di tribunali, così da non prestare il fianco ad eventuali azioni legali sulla veridicità dei contenuti. In questo senso si può dire che molti romanzi si fondano sulla storia, anche se non sono la storia. Credo che ogni buon romanziere che prenda come territorio di scrittura un certo periodo storico debba studiarlo bene e cercare d'immedesimarsi. Grandi esempi sono il piùmoltissimevoltecitato "Memorie di Adriano" o "Il Re e il suo Giullare" o ancora "Io, Franco". Ciascuno degli autori (autrici per i primi due) deve avere raschiato La Storia con le unghie fino a spaccarsele e poi ricostruito tutto. Ma studiare la storia per poi scriverne è estremamente interessante, è come immergere un secchio d'acqua in un pozzo profondissimo e scuro, di cui non si sa nulla. Ho inserito Klaus Barbie in uno dei primi capitoli di "38 e 38", facendolo sparire subito dopo. Marta Chiantore dell'Instar Libri, dopo avere letto e editato l'iniziale bozza, m'ha proposto di inserire una piccola appendice in cui raccontare brevemente le storie di alcuni personaggi che appaiono di sfuggita nel libro, così solo per sapere come andava a finire la loro esistenza una volta "usciti" dalle pagine. Ha predisposto una lista di "protagonisti" secondari e me l'ha sottoposta. Tra questi c'era, appunto, Klaus Barbie. Con molta curiosità ho immerso il secchio nel pozzo e quando l'ho tirato su ho guardato l'acqua contenuta. Dentro c'era una verità che m'ha lasciato a bocca spalancata. Sono passati così tanti anni, ma non riesco davvero a capacitarmi. Questa è la scheda di Klaus Barbie che comparirà sul libro, tanto per capire quante cose sono state tenute nascoste, pur essendo importanti, per un sacco d'anni. La storia è stata già scritta, ma, magari, i romanzi servono a leggerla in maniera diversa.


Klaus Barbie(25 ottobre 1913 – 25 settembre 1991)

Klaus Barbie svolse con particolare efficienza il suo compito di Hauptsturmfuhrer della Gestapo nella Francia occupata tanto da meritare il soprannome di "Boia di Lione". I suoi metodi torturatori condussero tra l'altro all'arresto e alla morte di Jean Moulin, il capo della Resistenza francese. Poi, alla fine del 1944, Klaus Barbie scomparve dalla Francia per riapparire inopinatamente nel 1947 nelle fila del Counter Intelligence Corps americano di Memmingem, come agente incaricato dell’acquisizione di informazioni utili alla cattura di ex nazisti e simpatizzanti comunisti. Nonostante le autorità fossero a conoscenza della sua reale identità, Barbie continuò a lavorare per il CIC fino al 1949 per poi scomparire nuovamente quando non fu più possibile trascurare le incessanti richieste affinchè venisse consegnato alle autorità francesi. Fu il CIC a fargli assumere l'identità di  Klaus Altmann e a consegnarli il salvacondotto per l'Italia che lo immetteva nella Ratline, la via dei ratti, ideata dall'Organizzazione Odessa per consentire la fuga dei criminali nazisti. Barbie, o Altmann, ricevette per sè e la sua famiglia un passaporto della Croce Rossa Internazionale, garantito dal padre francescano Krunoslav Draganovic e il 16 marzo 1951 s'imbarcò da Genova alla volta di Buenos Aires, per poi trasferirsi successivamente in Bolivia. Nel 1972 venne scoperta la sua vera identità, ma il governo boliviano rifiutò l'estradizione in Francia sino al 1983. Sbarcato in Francia venne processato a Lione per crimini contro l'umanità e condannato all'ergastolo il 4 luglio del 1987. Morì in carcere di leucemia il 25 settembre 1991.

mercoledì 16 marzo 2011

LA VERITA' (SECONDA PARTE)

Va da se' che non mi considero affatto un anticlericale. Come molti credo che le tre M, Don Milani, Don Minzoni, Don Primo Mazzolari, siano tre esempi per sostenere come la chiesa cattolica abbia fatto del bene, ma, d'altro canto non vedo per quale motivo la chiesa cattolica debba fare del male, tenendo conto dei principi fondativi che la reggono. Ora però mi chiedo per quale ragione si passino sotto silenzio alcuni episodi della storia abbastanza recente della chiesa, anzi, se per caso vengono sollevati, si elevino al cielo alti lai da parte degli organi ecclesiastici: che siano forse vecchi rimasugli dell'Infallibilità Papale? Dico questo semplicemente perchè nello scartabellare informazioni necessarie all'ultimo libro ho posto più attenzione del solito ad alcuni particolari. Come tutti sanno è stato più volte sottolineato come Pio XII fosse rimasto troppo insensibile nei confronti delle ben note, al tempo, persecuzioni perpetrate durante la seconda guerra mondiale nei confronti degli ebrei e altre minoranze "dannose". Si risponde generalmente che una veemente reazione del Santo Padre avrebbe generato una serie di rappresaglie verso i cattolici europei che avrebbero pagato sulla propria pelle indifesa le parole del papa. Ciò avrebbe frenato il forte grido di dolore proveniente da San Pietro. E' una spiegazione accettabile, direi. Ciò che però non riesco a capire è, come mai, dopo la fine della guerra alcuni dei peggiori criminali nazisti siano riusciti a fuggire in Sud America grazie a passaporti rilasciati dalla Croce Rossa in cui la garanzia dell'identità della persona (evidentemente falsa) era fornita da padri francescani alto-atesini e croati. E' evidente che non si sta parlando per cialtronerie ascoltate in giro: le copie dei documenti e delle firme avallatrici stanno negli schedari di Musei della Memoria, col loro pesante nero su bianco. Analogamente non si riesce a comprendere come mai, in un periodo in cui le rappresaglie erano scongiurate, la diocesi di Genova fornisse ospitalità ai fuggiaschi fino al momento dell'imbarco verso, generalmente, Buenos Aires. Si racconta che tutto ciò avvenisse perchè quegli uomini erano considerati da prelati particolarmente sensibili persone bisognose, perseguitate ed inseguite: stiamo parlando di soggetti come Adolf Eichmann, Klaus Barbie, Josef Mengele, le cui gesta si evocano ancora oggi anche solo nominandoli. E' curioso come nessuno apra questo armadio, o che il fatto di aprirlo susciti scandalo, come se lo scandalo sia parlarne piuttosto che l'accaduto. Torno a dire che non sono affatto anticlericale e che porto il massimo rispetto e ammirazione per persone come il vescovo Enrique Angelelli ucciso a bastonate da una patota nella Rioja argentina il 4 agosto del 1976 o per coloro, cattolici, i cui nomi di "Giusti delle Nazioni" sono incisi sullo Yad Vashem, ma ho delle altre perplessità che sono già state testimoniate in un precedente post intitolato "La Giustizia Terrena e il Cardinal Sodano". Fondamentalmente mi chiedo come sia potuto accadere che una strage strisciante come quella dei desaparecidos non sia stata gridata forte da colui che, ancora oggi, si vuole "santo subito". Karol Woytila. Probabilmente, molto più di Eugenio Pacelli, il suo grido avrebbe potuto irretire i torturatori, ma si dice che la sua vera ossessione fosse la sconfitta del comunismo. In fondo quei 30.000 desaparecidos della cattolicissima Repubblica Argentina un poco comunisti lo erano e non importa che i montoneros fossero una diretta discendenza dell'Azione Cattolica. In fondo per il cattolicesimo il martirio è la via perfetta della redenzione.

domenica 13 marzo 2011

LA VERITA' (PRIMA PARTE)

Quella di cui voglio parlavi è la VERITA' STORICA, semplicemente perchè credo sia stata "elusa" ("nascosta" è un aggettivo troppo vigoroso per questo  argomento delicato) per molto tempo. Me ne sono reso conto soprattutto in questi anni in cui ho ripreso in mano argomenti che paiono al giorno d'oggi non avere alcun valore. Paradossalmente appare molto più odierno il "i ne ga ciavà col prebiscito del 866, se staimo coi Asburgo oncò ierimo pì ricchi" (per i non veneti: "ci hanno fregato col Plebiscito del 1866, se stavamo coll'Austria-Ungheria oggi saremmo stati più ricchi") che riempie le piazze e i bar di una nouvelle vague storiografica che fa, giustamente, dire a Gianantonio Stella (su RadioTre un po' di giorni fa) col suo accento molto mio conterraneo: "Basta. Non se ne può più di questi che si svegliano la mattina e mentre si grattano pensano che la Repubblica Serenissima è il più grande stato mai visto in tutta la storia. Altro che i romani. E il giorno dopo tutti in piazza dicono così perchè l'ha detto il compagno di scopone. Una volta per avere un'opinione bisognava almeno aver letto un paio di libri". No, non intendo parlare di quella storia così remota che gira attorno al 1860, intendo parlare due periodi più vicini a noi che mi sono ritrovato a maneggiare mentre scrivevo il romanzo che uscirà fra poco. Intendo raccontare degli anni attorno alla Liberazione, un po' prima e un po' dopo: anche perchè credo siano molto rappresentativi dell'italianità. Di ciò che siamo ora. Io sono nato nel 1962, figlio di genitori comunisti tornati in Veneto dalla Svizzera nel 1968. Per spiegare il clima politico che si respirava allora credo basti un esempio ben impresso nella mia memoria. Ricordo che seppi che i miei genitori erano "comunisti" verso i dodici anni, prima ero convinto appartenessero alla Democrazia Cristiana, tanto da fare un gran casino, più o meno lo stesso per le vittorie della squadra del cuore, quando la televisione in bianco e nero mostrava i dati delle elezioni politiche che testimoniavano come, per l'ennesima volta, lo Scudo Crociato avesse trionfato. I miei non me l'avevano detto semplicemente perchè sapevano bene che i bambini parlavano tra di loro e subito dopo con i rispettivi genitori e magari non era propriamente salutare che si venisse a sapere nel mio bianchissimo paese che in quel posto ci fosse una macchiolina rossa. Non c'era stato un unico caso di improvvisi licenziamenti per motivi vaghi, che poi erano semplicemente riconducibili all'appartenenza al Partito Comunista Italiano. Poi, dopo il 1976, tutto divenne più accettabile: l'ammorbidimento delle posizioni sia di una parte che dell'altra (per moltissimo semplificare, distensione legata alla costituzione dell'asse Moro-Berlinguer) fece in modo che l'aria diventasse più respirabile, ma io non dimenticherò mai le bordate di mio padre: "Si, si, adesso tutti fratelli, ma quanti di questi che adesso fanno bei discorsi e sono tanto democratici prima della Liberazione stavano con i fascisti e son saltati sul carro buono quando i podestà se la davano a gambe?". Io ricordo che facevo mie le sue parole, come ogni figlio orgoglioso del padre, e le sbandieravo a destra e a sinistra ricevendo in cambio piccole prese per il culo, il solito "sei sempre il solito rosso rompicojoni" e via così. Cose che si protrassero finanche al Liceo. Però, come accade alle volte, il mio tardivo attaccamento ai libri, nel corso del tempo m'ha portato a rivalutare quel giovane solito rosso rompicojoni. Ho incontrato libri estremamente interessanti sul voltagabbanesimo. Mentre scrivevo "A Pedate" mi sono imbattuto nel libro di Loris Lolli "I Mondiali In Camicia Nera", comprato per pochi soldi da un bancarellaro. Il libro è assolutamente sconsigliabile per il suo valore intrinseco, ma assolutamente da leggere perchè Loris Lolli è un fascista non pentito e quindi con estremo astio fa nomi e cognomi e dipinge le gesta di importanti voltagabbana del nostro tempo. Analogamente è interessante leggere "Rosso E Nero" di Renzo De Felice che stima le cifre dei combattenti partigiani dopo l'8 settembre 1943 e si evince come da un 4/5 mila si passi di quella data a più di 100.000 nell'ottobre 1944 a 280.000 verso il 25 aprile 1945, segno incontrovertibile di un entusiastico andare coll'onda. Tra queste letture c'è stata anche la stesura di "Bluespadano" con l'incontro sotto all'Argine di Ragazzola col vecchio Armando che m'ha raccontato la sua storia: "Sai quando torni dai monti che sei stato nei partigiani e ti aspetti che, adesso sì, le cose cominceranno a cambiare e a Isola Pescaroli scopri che il capo dei partigiani là era il Capitano della Milizia qua, allora pensi che c'è qualcosa che non va. E capisci che non va proprio quando scopri che tutta la bella gente di Polesine, Ragazzola e Roccabianca, che durante gli anni del fascismo ti diceva di stare buono, che bisognava star tranquillo, quando torni dalla montagna, che sono stato in montagna, a star qui sotto l'Argine s'è arricchita vendendo quello che i tedeschi lasciavano durante la ritirata. Alla fine, che tu andassi o no in montagna coi partigiani, se eri un povero disgraziato restavi un povero disgraziato, mentre se eri un signore e ti sistemavi alla bellemeglio con chi comandava a casa, restavi un signore". Ma tutto ciò non serviva neppure a me per togliere di torno l'aria da rompiscatole, brontolone in cui mi riconosco. Poi un giorno un libraio m'ha consigliato il libro di Egidio Ceccato: "La morte del comandante partigiano Masaccio: delitto senza castigo" e leggendo si sono aperte le porte del Paradiso. Egidio Ceccato non è un brontolone come me: è un fedele adepto della ricerca storica e a distanza di così tanti anni ho ritrovato con piacere mio padre che malmostava sui voltagabbana e sui venduti del fascismo. Purtroppo non ho mai potuto assistere a presentazioni di questo libro, ma mi sono davvero divertito a sentirne narrare i rendiconti: con ex-democristiani passati, a seconda, a destra e a sinistra lanciare accuse contro l'autore e sputtanarsi a vicenda. Uno spettacolo indimenticabile per chi, "comunista", in quegli anni e subito dopo ha dovuto per campare tenere giù la testa e mangiarsi la lingua. Magari è più onorevole, oggi, dire: "Sì. E' vero. E' stato raccontato che furono i tedeschi ad ammazzare Masaccio, invece è stato un altro partigiano, perchè non si voleva che arrivasse a Bassano per fare giustizia del rastrellamento del Grappa. Vabbè è stato necessario coprire in questo modo la verità, perchè quelli eran tempi di gran confusione. La guerra è una brutta bestia anche quando finisce". Invece non succede così: si alzano i vecchi vessilli stracciati e lerci e si elude LA VERITA'. Ma l'importante è che ci sia chi, come Egidio Ceccato, la riproponga bella viva e norbia.

domenica 6 marzo 2011

HENDRIXIANA

Sarà stata la X alla fine del cognome a renderlo particolare in partenza. Mica ce n'erano prima, durante o dopo che avevano una X dentro al cognome: che io ricordi solo Exene Cervenka degli X, ma al tempo degli X, Hendrix aveva già svolto tutto il suo porco lavoro e la punkrock'n'roll band di Los Angeles era una roba  fuori di testa così così che tanto Are You Experienced? era già passato da più di dieci anni. Are You Experienced? è la roba registrata più bestiale che io conosca. Certo i Velvet e Zappa non erano da meno per via di sgarri al mainstream, ma la title-track del primo disco di Hendrix ancora oggi riverbera come una serie di hit dei Beatles: Purple Haze, Manic Depression, Hey Joe e poi dall'altra parte del disco: The Wind Cries Mary, Fire, Foxy Lady. E poi, va detto, riascoltare oggi quelle canzoni pare siano state appena incise e Hendrix, col suo modo di suonare, pare ancora un passo avanti a tutti, eppure sono passati 44 anni dall'incisione e in mezzo son passati fior di chitarrari. La botta che arriva riascoltando oggi Hendrix la fa fare sotto a Bill Frisell, Marc Ribot e chi più ne ha più ne metta. Non è affatto Bowie The Man From Mars, l'uomo piovuto da Plutone il 27 novembre 1942 è Jimy Hendrix. Chi gli accosta Stevie Ray Vaughan è completamente fuori schiappo, come si dice in Veneto: Vaughan è diretta discendenza di Hendrix, fin troppa discendenza: come  Mark Knopfler e l'ultimo Clapton nei confronti di J.J. Cale e ben più di Capossela con Waits. Per tutta questa serie di motivi mi viene da ridere quando riascolto qualcuno che coverizza Hendrix, semplicemente  perchè bisogna scherzare con i fanti e lasciare stare i santi. Tutti gli astanti vogliono ascoltare Hendrix come se non fosse morto nel 1970, come se fosse ancora lì a beccare il vento di Monterrey, e i chitarristi vogliono sempre in qualche modo fare una partitina con lui e quello che salta sempre fuori è una parodia avvilente. Da una parte e dall'altra. Stavo sul palco un po' di tempo fa con un noto chitarrista, uno di quelli di cui si parla sempre, e cosa accidenti si mette a fare? The Wind Cries Mary. Intanto che ci dava sotto a fare Hendrix, che è praticamente solo quello che vogliono da lui, perchè le sue canzoni non sono per nulla altrettanto buone, povero disgraziato anche se lo pagano tra gli 800 ai 2000 euro a gig, io sono andato a farmi un bianco e a chiacchierare con Zeno Odorizzi, cercatelo su Google per sapere chi è, che c'era molto più gusto e da imparare. E quello che c'è da imparare è che magari coverizzare Hendrix si può, ma non mettendola giù a chitarrate, che è come giocare a calcio contro il Maradona dei mondiali 1986 in Messico, che ci si fa immancabilmente la figura della pippa, ma cercando qualcos'altro: una roba tipo Hey Joe nella versione di Willie de Ville che anche quelli che girano con la fascia sulla testa e il boa arancione da gipsy sono costretti ad ammettere che è una figata. Magari modificando Hendrix per scomposizione viene fuori una roba proprio irriconoscibile, che ci sta bene il testo di Message To Love, ma anche qualcos'altro: magari un testo nuovo, scritto dagli scompositori stessi medesimi. Minchia: una canzone nuova. Magari Hendrix buonanima è più contento di questa che della milionesima versione di Fire. Magari.

martedì 1 marzo 2011

HANNIBAL LECTER, GLENN GOULD E ANGELA HEWITT

Credo che il dottor Hannibal Lecter sia una delle più importanti creature letterarie del nostro tempo. Mica perchè è un cannibale. La cannibalità del dottore è solo uno specchietto per le allodole. Lo è perchè è l'ultimo degli esteti. Chi, quasi dissanguato in "Hannibal" e arso dalla sete, immaginerebbe un inesistente refrigerio materializzando una statua greca di Prassitele sulla quale poggiare la fronte madida? Thomas Harris è stato geniale ad immaginarlo e Jonathan Demme a sovrapporgli il volto di Anthony Hopkins. E poi come non condividere l'attitudine di giustiziere, come una specie di Clint Eastwood molto cool, di Hannibal Lecter. Tutte le sue vittime hanno commesso qualcosa di abominevole, dal deturpare la perfetta sonorità di una filarmonica sino alla violenza sui bambini: come se il dottore volesse mantenere una sorta d'armonia dell'universo. E poi il servizio reso alla musica da Thomas Harris nei panni di Lecter è fondamentale. Chi chiederebbe in cambio di importantissime informazioni su Buffalo Bill l'incisione su nastro delle "Variazioni Goldberg" di Bach, nella versione del 1981 di Glenn Gould? E Gould e Lecter sono perfetti insieme: due tizi, uno immaginario e l'altro reale, fuori dal tempo. Eccentrici, anche se Gould afferma di non esserlo affatto ("No, non sono un eccentrico"). Comunque sia il pianista è quanto di più rock nella postura si sia mai visto in giro: seduto col naso sulla tastiera e col vizio maledetto di canticchiare i ritornelli, tanto che in una delle sue prime incisioni i compassati tecnici della Columbia cominciarono a smadonnare perchè non capivano da dove saltasse fuori quel "disturbo", quel mugolio soffuso, nonostante avessero controllato tutti i microfoni. Ascoltavo già Gould per la sua eccentricità così facile da riconoscere persino per chi, come me, non capiva un'ostia di musica classica. Rendeva la musica classica più facilmente fruibile e distante dalla Torre d'Avorio. Thomas Harris e Jonathan Demme hanno fatto il più grande favore alla musica mettendo il tema delle Goldberg nella scena in cui il Dottore evade cruentemente dalla gabbia di Memphis (la città di Elvis, della Sun, della Stax e di tutto ciò  che ha reso il rock'n'roll, IL ROCK'N'ROLL). Credo sia merito loro se la musica classica è diventata fruibile per me. Se oggi ho acquistato il cofanetto di Angela Hewitt: Bach. 15 cd di arrangiamento per piano della musica di Bach (più un sampler). No, non sono un esperto di musica classica, ma una che ha dedicato non so quanti anni della sua vita a immergersi in Johan Sebastian Bach, rinunciando a proporre concertisticamente altri compositori perchè l'avrebbero allontanata da LUI e cercando produttori che condividessero il suo progetto deve essere per forza un fenomeno, una fuori di testa: come il dottor Lecter, come Glenn Gould, come Tom Wais, come Paolo Conte, come Simone Zanchini, come Angelo "Leadbelly" Rossi. E Dio solo sa, oggi come oggi, quanto abbiamo bisogno di fenomeni che vanno dritti per la loro strada, costi quel che costi. Sempre e rigorosamente contromano.