giovedì 4 aprile 2013

TRA PAUL BOSS E GHOST DOG (aka IL BLUES DELL'UOMO DELLA MEDICINA)

Credo sia stata la visione di "Ghost Dog" di Jim Jarmush a farmi propendere per il verso hagakuriano della vita. In altri termini io sono uno che cerca sempre il Maestro: uno che faccia da faro quando io non capisco più un cazzo di ciò che m'accade attorno. Accade ora che tribolo attorno ai libri, ma è accaduto anche un bel po' d'anni fa - ma neanche tantissimi a ben vedere - quando arrancavo nel mare magnum del blues. Allora, nei miei anni convulsi che vanno più o meno dal 2002 al 2008, ho trovato i miei pivot in 3 personaggi della scena blues italiana. Intendiamoci, ho instaurato buonissimi rapporti con molti che conservo, ma i punti di riferimento sono stati tre. Claudio Bertolin, Oracle King e Paul Boss. Uomini diversissimi tra loro. Tanto oscuro è Claudio, tanto rodomontiano è Oracolo, tanto intercalante tra l'uno e l'altro, ma inesorabilmente dotato degli Stivali delle Sette Leghe Paul Boss. Ciascuno di loro però si erge dalla cintola in su nel panorama bluesistico: mica solo per come suonano, perchè delle volte s'incapponano in accordature che neanche Little Willie John ubriaco riuscirebbe a incartapecorire così tanto, ma per come cantano e, soprattutto, per IL CARISMA travolgente. Sono uomini che non puoi fare a meno di notare, che non puoi fare a meno d'avvicinare e che capisci subito, non si sa per quale motivo, ti possono passare della gran forza che t'aiuta a star a galla se stai per affogare. Non c'è un motivo. Dio ha dato loro la "luccicanza" e a nessun altro. Non c'è ragione d'incazzarsi se l'ha data a loro e agli altri no: quel giorno è andata così. Non è un caso, secondo me, che Oracolo e Claudio abbiano buttato fuori dischi decisivi per il blues italiano: dischi che hanno tutto il passato addosso, ma che frombolano in un proprio, personale futuro. Due di quelle due manciate di dischi che del blues italiano s'hanno da salvare. "The Blues Is a Lonely Road" e "No Place To Go" fanno paura. Credo d'averli ascoltati 500 volte ciascuno e mi danno sempre la stessa sensazione d'inarrivabilità. D'Angelo "Leadbelly" Rossi non parlo, che lo conosco poco, non ho mai suonato insieme, però l'ho ascoltato spesso e so che sarebbe stato il quarto PIVOT dei miei anni convulsi se avessi avuto l'opportunità di conoscerlo un poco: 2 dischi dei magnifici,diciamo, otto sono suoi: "Jump Up Song" e, soprattutto, "I Don't Want Take Nothin' With Me When I'm Gone". All'appello mancava Paul Boss e in questi giorni è arrivato "The Medecine Man" e non c'è stato verso di scappare dalla regola: un cd a tratti magnifico che fa comprendere come quelli con la "luccicanza" addosso sono condannati a non sbagliare un colpo. Una voce strepitosa, come se ne sentono solo nella lista dei pivot, con in più il solo Johnny La Rosa e una sensibilità pazzesca, incastonata, ancora una volta non si sa perchè in un omone sghembo d'un quintale e qualche cosa. Dentro a "Medecine Man" c'è il semplice slide da favola d'Umberto Porcaro, che cancella d'un colpo tutti i bellimbusti dell'effetto scenico a tutti i costi che girano per i palchi, lasciando sul posto solo un po' di gel per capelli e forfora scongelata e l'armonica di Max Lugli che, pur essendo io apertamente idiosincratico nei confronti dello strumento che suono io stesso, è suonata con un gusto gigantesco, perfetta dietro la voce e districata come si deve in assoli niente affatto facili per come Paul Boss ha pensato il disco. "Too Much", "56", "Jessie James", "The Weight" sono capolavori e persino la rilettura di "Can't Be Satisfied", che se fosse stata para para m'avrebbe scassato il cazzo, è entusiasmante. E poi, una cosa di cui non si parla mai, quelli che han registrato: Giacomo Lagrasta e Michele Paglia. Il mondo del blues italiano è lastricato di buone intenzioni che portano all'inferno, perchè accade sovente che l'ansia di registrare in questo o quello studiolo non faccia porre la domanda: "Ma siamo sicuri che i fonici abbiano anche una pallida idea del genere musicale che si va a registrare?". In positivo mi vengono in mente i dischi dei Jacknives di Marco Pandolfi e anche "Close The Bottle When Your Done", registrati da chi del blues ne ha ascoltato, in negativo nessuno, per l'amordiddio, perchè altrimenti scoppierebbe il putiferio. Giacomo e Michele (MRS Modular Recording Service) hanno ottenuto con praticamente nulla tutto ciò che si può ottenere da un cd di blues, solo perchè sapevano benissimo di cosa si stava parlando. E non crediate sia poco.
Questo solo volevo dire. Finalmente un nuovo disco che mi riconcilia con il blues.
Chapeau, Paul.

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