Non so se a qualcuno interessi, non m'aspetto che accada, ma quest'estate per le vacanze estive, che faccio in giugno, sono andato sul Ventoux. Era da quando scrissi "L'Uomo della Biglia", il capitolo attorno al quale è ruotato "L'Ombra del Cannibale" che desideravo andarci. Volevo vedere il posto dove il Monte s'era ingoiato Tommy Simpson e alla fine ci sono andato. Vi risparmio tutte le descrizioni e le emozioni, per le quali ho altri progetti, ma intendo soffermarmi su una questione fondamentale, sulla quale non ho nessun progetto: "Perchè nel 1994 partii alla volta del Mississippi per visitare le tombe di Sonny Boy Williamson II, Robertino Johnson e Charly Patton e nel 2013 me sono andato sul Mont Ventoux a vedere la stele di Tommy Simpson?". La trasformazione per me ha dello straordinario, ma non intendo frequentare strizzacervelli per comprenderla, anche perchè La Santa ne "La Grande Bellezza" ha per l'ennesima confermato le mie, personali, risposte. "Mangio Radici, perchè le Radici sono importanti". Le mie radici non stanno in Mississippi, ma in una televisione in bianco e nero, dentro al salotto della mia famiglia, in cui guardavo il Giro d'Italia e il Tour de France all'inizio degli anni '70. E anche il Milan di Luciano Chiarugi, che preferivo persino a Gianni Rivera. Tutto qui. E anche tutta qui sta la mia idea d'intervistare Vito Favero, meraviglioso mio co-provinciale, di Sarmede, arrivato secondo al Tour del 1958 dietro Charly Gaul e prima di "Gem"Geminiani. La cosa che m'ha impressionato sia con Vito Favero che con Imerio è la totale facilità d'incontrare stè persone, basta una telefonata, un "Se Vedemo?", perchè l'appuntamento venga fissato con semplicità. Un appuntamento con delle leggende: con degli eroi che si rivelano del tutto "antieroi", nonostante la moglie di Vito mi faccia vedere una sfilza di foto in cui lui è insieme a Gaul, Jacquot Anquetil, Gastone Nencini e io possa vedere, contemporaneamente, il soggetto della foto insieme a me bere un prosecco fatto con l'uva che viene su proprio dietro la casa. "Sì, sì, siamo ospiti del Tour de France, a Parigi, l'ultima domenica. Lì ci chiamano sempre". "Sì, sì, nel '58 non c'erano tante moltipliche, facevano l'Izoard e il Ventoux col 50 X 23, massimo 24". "Ah l'acqua di Vichy è proprio benedetta"."Beh sai, fino a un po' di anni fa avevo 50.000 polli qui dietro, su quel capannone in fondo". Proprio come diceva quel cantautore che una volta mi piaceva un sacco, "Tra Palco e Realtà", Vito Favero è proprio così: tra palco e realtà, molto vicino a un altro posto in cui la bicicletta è stata miracolata: Colle Umberto, dove nessuno sa è nato uno dei più grandi track del ciclismo: Ottavio Bottecchia. Eppure a San Martino (di Colle Umberto) c'è solo uno stradone e nessuna traccia d'una memoria d'Ottavio. Come si dice sempre, in Francia c'avrebbero fatto minimo un mausoleo e vi si sarebbero recati un sacco di ciclisti a rendere omaggio. E adesso che ci penso su mi viene pure in mente il Ponte della Becca, che ho attraversato per andare a fare una presentazione alla stupefacente "Libreria Delfino" di Pavia. Il Ponte della Becca. Il più bel manufatto costruito dall'uomo lungo il Grande Fiume Po, tirato su proprio dove Ticino e Po s'incontrano, in un posto meravigliosissimo. Oggi è in stato di semiabbandono. Se vivessimo in un paese civile, la Francia per esempio, che in "Imerio" così tanto insulto, avrebbero deviato la strada e curato e lasciato il ponte ai pedoni e alle biciclette, per glorificarlo, ma come direbbe la Santa: "Le Radici non si spiegano, si curano".
P. S. Ho sorvolato volutamente sull'intervista a Vito perchè, anche su questa, ho qualche progetto e anche su San Martino di Colle Umberto. E i progetti si svelano, evidentemente, dopo.
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