venerdì 7 gennaio 2011

IL GRILLO PARLANTE, LUCIANO LIGABUE E LITTLE WALTER JACOBS (SECONDA PARTE)

Ma. Si diceva. Ma non ce la fanno neppure i piccoli professionisti e i buoni dilettanti. Per ragioni molto simili. I piccoli professionisti devono campare suonando. Diciamo che con i soldi che mediamente si prendono adesso per gig, un centinaio di concerti all'anno sono il minimo per raggiungere un reddito appena, appena sufficiente. Se si sta sotto quella quota bisogna trovarsi un lavoretto di sostegno oppure campare di scrocco: perciò oltrechè suonare bisogna lavorare per poterlo fare (ciò che potremmo chiamare pubbliche relazioni) e il tempo da dedicare a pensare a possibili nuovi percorsi musicali si riduce quasi a nulla. Lo stesso vale per i dilettanti, quelli buoni: il desiderio di diventare piccoli professionisti li porta a suonare, suonare, suonare: qualsiasi palco va bene perchè magari c'è qualcuno d'importante che ti ascolta e chi ti può aiutare. Ho fatto parte di quest'ultima schiera per molto tempo, qualcosa come 500 concerti e forse più e non ho mai trovato nessuno che dicesse, oltrechè al consueto "bravo, bello, intelligente, modesto....", un più consistente "beh! potrei aiutarti a fare delle robe". Niente di niente, se non dilettanti al mio pari con cui ci si è scambiati per reciproca stima delle date (eventualità proprio per nulla frequente). Ho invece visto amici partire per il professionismo e tornare dopo un anno a dirmi: "Grandi concerti, ma ho fatto 50.000 chilometri e non son riuscito a mettere via una lira per una macchina nuova, che con 200.000 chilometri questa è finita...Meglio che torni a lavorare se voglio cavare un ragno dal buco". Tutto ciò per dire che è praticamente impossibile fermarsi, quantomeno nel blues, la musica che ho praticato per così tanto tempo, a pensare a cose come: "Beh ormai siamo alla milionesima versione di "My Baby", originale o con altro titolo, magari si può suonare qualcosa d'altro...Magari c'è un altro corridoio da esplorare...". No, ma mi fa fatto ridere tempo fa un "Omaggio a Little Walter" organizzato in un locale da qualche parte. Ho immaginato armoniche, armoniche, armoniche andare a destra e a sinistra, con block-tongue o senza block-tongue, con overblow o senza overblow, cercare di omaggiare Little Walter Jacobs. La realtà è che Little Walter Jacobs è stato l'omologo di Jimy Hendrix nell'armonica e la cosa più deprimente che mi sia mai capitata di vedere è una serata piena di chitarristi radunatesi con lo scopo di rendere omaggio a Jimi Hendrix. Come se non si sapesse che, ancora oggi, l'originale è 5000 volte superiore alle reinterpretazioni, a distanza di 40 anni dalla morte. Un uomo veramente caduto sulla terra da Marte. Ma anche ascoltare Little Walter è un'esperienza devastante per chiunque ami il blues: non solo per il band leader, che introduce nei chorus tipici del blues frasi da sassofono di Louis Jordan, ma per l'accompagnamento spaventosamente intelligente dei fratelli Myers e di Fred Below: attenti più alle pause e al silenzio, che al suono. Ascoltare con calma "Confessin The Blues" e "I Hate to See You Go", gli album non le canzoni, dovrebbe far riflettere gli amanti-suonatori. Grandi e piccoli professionisti e buoni dilettanti. Come tutti gli album dell'American di Johnny Cash o "Tell Tales Signs" di Bob Dylan. Il suono cresce pulito, semplice  e potente. L'unica cosa è fermarsi ed ascoltarlo. Dopo nulla potrà essere più uguale. FERMARSI e ascoltare. La strada dopo potrà essere solo diversa.

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