domenica 16 gennaio 2011

LA FINE DELLA CULTURA DI SINISTRA (PRIMA PARTE)

Ho sempre creduto che la cultura fosse di sinistra. L'establishment stava a destra e non aveva bisogno di cambiare, quindi tutto ciò che proponeva un'alternativa era buono ai miei occhi. La destra non se ne faceva nulla della cultura (ancora oggi c'è chi dice che con la cultura non si mangia) che era un prodotto residuale di facile appannaggio di chi avesse voluto raccoglierlo. Perciò la cultura diventò la bandiera di tutta una generazione che sperava in un miglioramento futuro, quando non c'era nulla di meglio della speranza. La generazione di mio padre, muratore e carpentiere, era abarbicata a quell'ideale. I ricchi non avevano questo problema: un certo aplomb di conoscenze era connaturato con le loro origini e non c'era alcunchè da conquistare. Tutto ciò, a posteriori, è riassumibile con la frase iniziale: HO SEMPRE CREDUTO CHE LA CULTURA FOSSE DI SINISTRA. Sono passati un sacco d'anni e ora sono convinto d'essermi sbagliato. Sono sempre più convinto d'aver preso un colossale abbaglio. L'ho intuito un po' d'anni fa leggendo la pagina culturale del MANIFESTO. Mi sono ritrovato nel bel mezzo d'un articolo che parlava di Mark Twain, uno degli scrittori che amo di più, e ho improvvisamente realizzato che non capivo un acca di quello che c'era scritto. Ma, perdio, mica ero l'ultimo degli imbecilli: avevo fatto i miei studi e conservavo un ottimo rapporto con morfologia e sintassi, eppure non capivo una beatissima mazza di quello che diceva l'articolo. Altissime metafore che sfioravano l'Empireo mi facevano sentire un rudere culturale. Tutto ciò è continuato. L'anno scorso la recensione dell'"Ombra del Cannibale" parlava di significati PLUTARCHEI dentro al mio libro. Francamente io Plutarco so solo che è esistito, ma per il resto non ne so nulla, eppure "L'Ombra del Cannibale" con dentro tutti i suoi significati plutarchei ero sicuro d'averlo scritto io. Il termine PLUTARCHEO dentro a un QUOTIDIANO COMUNISTA che razza di obiettivo potrebbe avere? L'acculturamento delle classi meno abbienti oppure la codificazione di un linguaggio radical chic che stamo a capì solo noi fighi? Propesi e propendo decisamente per la seconda ipotesi, clamorosamente corroborata da altri importanti contributi. Non molto tempo ascoltai a Fahreneit, il programma cult di RadioTRE, un intervento di Angelo Guglielmi a proposito del Gruppo 63 infarcito di argomentazioni sull'importanza di quell'esperienza. Va subito spiegato che, secondo me, un libro va scritto perchè qualcuno possa leggerlo, con un linguaggio non troppo algido, ma senza concedere nulla alla faciloneria, perchè non vi siano sbarramenti di sorta a causa della diversa preparazione dei lettori. "Il Mondo Piccolo", "Shantaram", "Cinebrivido", "Colpo di Spugna" sono grandissimi libri che possono essere letti da chiunque, eppure Guglielmi dissertava sulla disintegrazione del testo, sulla dislocazione dei periodi, sul significato del suono della singola parola a discapito della comprensibilità del testo, senza che nessuno lo fermasse e lo mandasse beatamente affanculo spiegandogli che tutte le stronzate che il Gruppo 63 aveva partorite erano consentite dal fatto che ognuno di quegli autori era docente universitario e quindi ammanicato per salario e conoscenze editoriali, tanto da non dover campare sperando di pubblicare e vendere alcunchè, ma, magari, tirando due soldi in più facendo adottare come libri di testo universitari quelle porcheriole. Chiunque abbia letto "Il Pendolo di Foucoult" di Umberto Eco deve aver pensato, se sano di mente, che il semiologo non stesse scrivendo, ma tirandosi una poderosa pippa allo specchio. Una roba tipo: "Mamma mia che bravo che sono a scrivere ste cose in questo modo". Fin dalle prime pagine quell'onanismo letterario esasperato giganteggia, ma nessuno che abbia avuto il coraggio, a sinistra, di dire: "Caro Eco, prenditi tutte quelle mille pagine del Pendolo e mangiatele una a una. E resti qua fin che non hai finito". Anzi lodi sperticate al semiologo, che se si critica si finisce fuori dalla loggia dei stamo a capì solo noi fighi, che la grande svolta della cultura di sinistra è il passaggio dal farsi capire da tutti al farsi capire da pochi. Però, beninteso, quei pochi debbono essere davvero quelli più chic. Gente come Rutelli, per fare un nome, che, magari, chi critica ora aspramente Bondi, ha dimenticato essere stato un po' di tempo fa ministro dei Beni Culturali. La gente che piace alla gente che piace.

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