venerdì 24 dicembre 2010

LA GIUSTIZIA TERRENA E IL CARDINAL SODANO

Sto ultimando il nuovo libro che dovrebbe uscire prima del Salone di Torino. Non sto a bisbigliare anticipazioni, ma, giusto per dare un'idea, prende ispirazione da un volume che mi ha molto colpito: "Le Irregolari" di Massimo Carlotto, uno dei lavori fuori dal filone di Marco Buratti, più conosciuto come l'Alligatore, ma che, come quelli, colpisce duro. Forse anche di più, perchè tutto ciò che è scritto nelle "Irregolari" è spaventosamente vero. Per capire la vicenda di cui si sta parlando è molto utile il sottotitolo del libro: "Buenos Aires Horror Tour". Massimo Carlotto descrive dei "tours" su di un autobus bianco e arancione (un collectivo) per la Buenos Aires della desaparicion. Ciò che ne viene fuori è una testimonianza spaventosa di quelli che sono stati gli anni del triumvirato Videla/Massera/Agosti, con figure di secondo piano altrettanto spaventevoli come il capitano Alfredo Astiz. E' necessario, secondo me, leggere questo libro per capire come ciò che si riteneva debellato col Processo di Norimberga, sia riapparso, con una certa noncuranza dei paesi europei, in una nazione che nessuno si sognerebbe di definire sottosviluppata. Ieri è arrivata la notizia che Videla e il generale Menendez dovranno scontare l'ergastolo in un carcere non militare, in quanto considerati colpevoli di crimini contro l'umanità. Ho accolto questa notizia con poco entusiasmo, nonostante sia un grande risultato ottenuto dalla coraggiosa opera dell'appena deceduto Nestor Kirchner, semplicemente perchè Videla oggi ha 85 anni, mentre i ragazzi che venivano gettati giù dagli aerei sul Rio De La Plata, negli anni della presidenza a vita videliana (1976-1981), ne avevano perlopiù intorno ai 20. Come dire una vita alle spalle e una vita davanti. Kirchner ha avuto il coraggio che avrebbero dovuto avere Alfonsin e Menem perchè la giustizia fosse veramente giusta. Perciò credo che la condanna non sia affatto proporzionale al reato. A Videla è andata bene molto oltre il consentito: faccio fatica a dimenticare l' intervista televisiva in cui gli chiedevano dove fossero finiti questi benedetti desaparecidos e lui con faccia imperturbabile, convinto della propria immunità, rispondeva: "Saranno loro a dirvelo quando riappariranno. Come sono spariti riappariranno!". Però della sorte di Videla mi angustio fin là. Ciò che mi rende davvero curioso, ora, è capire come sia potuto accadere un simile macello nel paese di Borges e Sabato e chi e perchè ha taciuto. In questo caso sarebbe molto interessante vagliare la testimonianza dell'ex segretazio di stato vaticano, sua emineza cardinal Angelo Sodano, nunzio apostolico in Cile dal 1977 al 1988, anni importantissimi per quello che viene comunemente chiamato Piano Condor: un meccanismo di collaborazione tra gli stati del Cono Sur  atto a mantenere in vigore governi filo-americani ed evitare scivoloni imbarazzanti come la presidenza Allende. Il rapimento, la tortura e l'eliminazione erano cardini fondamentali del Piano Condor ed è difficile credere che non siano giunti all'orecchio misericordioso della Chiesa i lamenti di coloro che avevano perso i loro cari. Massimo Carlotto nelle "Irregolari" puntò il dito contro Pio Laghi, il nunzio apostolico in Argentina durante le dittatura di Videla, che le Madri de Plaza di Majo denunciarono alla Procura della Repubblica di Roma per complicità nel piano di sopressione dei desaparecidos. In risposta Giovanni Paolo II lo elevò allo scranno cardinalizio nel 1990, mentre Sodano diventò cardinale e Segretario di Stato nel 1991. Sfortunatamente Pio Laghi è morto nel 2009 e non potrà più raccontare la sua verità, mentre Sodano svolge ancora la funzione di Decano del Collegio Cardinalizio. Sarebbe bello porgli qualche domanda sulle collaborazione tra Argentina e Cile per il mantenimento dell'ordine laggiù, dove il continente diventa una coda di terra in mezzo agli oceani freddi. La risposta sarebbe sempre la stessa: la Chiesa e sua Santità Giovanni Paolo II operavano segretamente per il ritorno alla democrazia in quei paesi angustiati. Con tutto il rispetto dovuto a uomini così probi, personalmente non credo a nessuna delle loro menzogne.

domenica 19 dicembre 2010

Una cosa per cominciare. Musica o scrittura?

Molto tempo fa mi chiesero se avrei voluto essere un musicista o uno scrittore. Una domanda che, ancora oggi, non ha alcun senso apparente: non c'è di fronte a me alcuno spiraglio per questa scelta. Continuo a fare un altro lavoro per vivere e non ci sono prospettive per immaginare un futuro diverso. Cio' nonostante vorrei rispondere a quella domanda, conservando il mio profilo di dilettante da quaranta serate all'anno. E' meglio scrivere o suonare, se uno potesse scegliere e focalizzare? Direi assolutamente scrivere, soprattutto per uno come me che sa suonare solo ed esclusivamente l'armonica e non ha la capacità di trasferire le sue idee su uno strumento più complesso. Però anche in questo caso, dopo un sacco d'anni passati a suonare su e giù per tanti luoghi, non credo che avrei la forza di proseguire con la musica, o almeno con la musica che deve necessariamente sfociare una volta la settimana su un palco. Vedo e rivedo band che ripropongono sempre lo stesso show, magari canzoni diverse ma suonate sempre con lo stesso approccio. Mi piacerebbe molto incontrare musicisti che in ogni show cercano una chiave nuova o, quantomeno, fissano un obiettivo artistico per un certo periodo e poi cercano strade diverse. Amo molto Massimo Zemolin per questa ragione: si nota in lui un desiderio di andare oltre, di superare i limiti che vengono attribuiti al suo ruolo di chitarrista jazz per antonomasia. Spesso ci ritroviamo a parlare di "canzoni" e di come potrebbero essere ricreate. Per lo stesso motivo amo Angelo "Leadbelly" Rossi, completamente al di fuori del quasi del tutto melenso, lasciatemelo scrivere, panorama di propositori di blues (evito accuratamente la parola "bluesmen") in Italia. Mi piace immaginarlo ascoltare Sister Rosetta Tharpe o Robert Pete Williams e rifletterci su tutto il tempo necessario per emettere una nota che parta da loro, ma che finisca, in qualche modo, a Cardano Al Campo, dove lui vive. Ma, purtroppo, non c'è il tempo e neppure la distanza per poter immaginare progetti e forse non ho neppure la capacità di tradurre sull'armonica ciò che vorrei ottenere. Perciò preferisco scrivere. E' una cosa che posso fare da solo, magari con stimoli altrui, ma che impone la costruzione di un mondo i cui difetti di progettazione possono essere imputati solo a me' stesso. E' bello costruire personaggi che camminano da soli, che vivono la vita come vuoi tu. E' un po' come essere Dio. Tutti vorremmo essere Dio per capire finalmente il senso della vita e scrivere te lo concede. Sulla semplice tastiera del computer, è ovvio. Appena ci si alza tutto torna in balìa del Destino. Perciò scelgo la scrittura. Non ci sono molte vie di scampo. La musica credo possa essere interpretata con molta libertà da ogni ascoltatore, mentre la scrittura consente minori interpretazioni personali. Come Ponzio Pilato sottolineava: "Ciò che ho scritto, ho scritto". E poi come dice sempre Antonio Boschi: "Ti preferisco come scrittore che come armonicista". Le opinioni degli altri si può far finta di non considerarle, ma ci si pensa molto.