lunedì 23 maggio 2016

I GUARDIANI per i miei amici.

A Pietro e Emanuele.
L'Alfa e l'Omega.
Ormai mancano pochi giorni all'uscita de "I Guardiani" e, nonostante ce ne siano già sette alle spalle, ho una certa ansia di scoprire la sensazione che proverò appena toccherò la prima copia del libro e, arrivato a questo punto, non mi sorprenderei, scusate la sincerità, di non provare nulla.
Mai come questa volta, mentre rileggo per la quindicesima volta "I Guardiani", nella versione definitiva, mi chiedo: "Ma come cazzo hai fatto a scriverlo?". Non per il contenuto, che non sono , come sempre, affatto in grado di giudicare, ma per il numero di parole. Come ho potuto scrivere tutte quelle parole, che a scrivere solo queste ho già mal di schiena?
Avere scritto tutta quella roba e aver sopportato il dolore intercostale a sinistra, proprio sotto al polmone, dev'essere - come in tutti i miei libri, credo - una sorta di regolamento di conti col passato: come nei film di Sergio Leone.
Faccio relativamente poca fatica a scrivere un libro e non impiego molto tempo per questa ragione: in realtà, con la scrittura, io regolo conti lasciati in sospeso molto tempo fa e un pistolero non fa fatica a sparare.
In definitiva non potevo scrivere ancora di ciclismo, nonostante dal punto di vista delle vendite, proprio in questo periodo, la materia attinente alla bicicletta sia molto profittevole, perchè non avevo la storia giusta tra le mani. A me non interessano gli aneddoti - l'aneddotica mi pare un'arte minore, anzi addirittura deteriore - e il lampo e le combinazioni che avevano portato "Imerio" erano ben lontani da me. In più l'espediente, spesso praticato, di prendere un aneddoto e gonfiarlo fino a farlo a diventare un libro viene scoperto troppo in fretta perchè un minimo d'onestà verso se' stessi non imponga di recedere dall'idea.
Perciò era necessario trovare, ancora una volta, un conto da regolare. Era necessario, ancora una volta, tornare bambino e guardare con quegli occhi.
Uno dei miei primi ricordi è di giocare, chissà perchè, in porta. Non volevo giocare altrove: io VOLEVO giocare in porta, non m'interessava giocare fuori. Io volevo volare e, ancora oggi, incontro persone che dicono ci riuscissi abbastanza bene.
Poi la strada m'ha portato molto distante da lì, ma, alla fine, non si è diversi da come si era da bambini e, naturalmente, nel senso "per natura", è saltato fuori il nuovo conto da regolare con un possibile futuro abbandonato così tanti anni fa. Ancora una volta si finisce per raccontare di "Slidin' Doors".
Il resto lo dirò durante le presentazioni.
Sono passati più di due anni da "Il Dio della Bicicletta", per uno scrittore pochissimo noto due anni sono un lasso di tempo che può rivelarsi letale, e non ero sicuro di farcela, perciò
Grazie a tutti quelli che mi hanno aiutato anche solo, come dice Toni Frigo, con un semplice assenso.
Grazie a tutti a quelli a cui dovevo questa spiegazione.
marco

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