mercoledì 1 giugno 2011

FINALMENTE: LE TINARIWEN E IL BLUES, ANNESSI E SCONNESSI.

Io mi vergogno. Dopo aver ascoltato "Talkin' Timbuctou" di Ali Farkà Tourè & Ry Cooder non sono andato in visibilio, tantissimi anni fa. Era un casino, perchè quelli che leggevano il Buscadero e altri giornali barricaderi dicevano e ti facevano pensare che se non ti piaceva quel disco non capivi proprio un cazzo di musica. Il problema era che ero giovane e che, perciò, dovevo essere en avant garde. Perciò l'ho ascoltato e riascoltato, ma gnente da fare. "Talkin' Timbuctou" era piacevole, forse, ma non è che mi buttassi per terra e gemessi dalla commozione. Insomma io e la musica africana non siamo mai andati tanto d'accordo. Poi a San Gallo, il giorno che distrussi il vetro del pulmino, Justin Shoaw passando davanti a un manifesto di una manifestazione che includeva i Tinariwen mi fece: "Oh bel! T'è mai scultè i Tinariwen...Son propri fort". Passarono due anni di Mississippi Hills Blues e il mio abbandono del blues praticato dal vivo, prima che m'imbattessi in un negozio di Mestre, il luogo dove Venezia incontra il Resto del Mondo, in due cd dei suddetti: "The Radio Tisdas Session" e "Aman Iman". Quando li misi su fu come se Rocky Marciano si fosse incazzato con me: una continua tempesta di pugni in bocca. Erano meravigliosi: non i pugni, i Tinariwen. Erano come le ostriche: sentivi, davvero, l'Africa e il Tenerè. Video, video e video su youtube. Poi anche il DVD del loro concerto a Londra. E poi "Le Festival du Desert" a Essakane, il video non davvero, che ci vogliono una valanga di soldi per andarci. E poi le robe che posta Silvano Montagnoli. E poi il desiderio d'andare a Essaouirà per vedere l'Oceano e ascoltare la musica touaregh. Sono stati i Tinariwen a farmi tornare la voglia di andare a vedere com'è davvero la musica, come nel 1994 desideravo da accopparmi andare nel Mizzhippy. E' il loro modo di suonare che non è tipicamente africano, ma incrociato nella danza e contradanza che non riesco proprio a spiegarmi, con Mano Negra e Junior Kimbrough che ha buttato giù la mia porta dell'Africa. Come diceva una che conosco: "Ogni porta ha la sua chiave". Ora li ascolto tutti: Alì Farka Tourè e sogno sullo studio di registrazione dove ha registrato "Niafunkè", Le Tartit, Rokia Traorè e persino la musica dance africana. Ho veramente le budella di fuori come Salgari all'inizio di "Disegnare Il Vento" di Ernesto Ferrero. Non so quanti anni dopo posso dire: "Oh! Adesso mi ascolto Talkin' Timbouctu". Ho un solo rammarico. Anche se andassi Al Festival du Desert, capirei fino ad un certo punto. Io sono un bianco di Castelfranco Veneto, non un touaregh di Tissalit e neppure un nero di Clarksdale. Una volta avrei potuto dire di avere il blues dentro. A quasi 50 anni evito di dire simili puttanate. Mi piace molto il blues e la musica africana, ma sono bianco di Castelfranco Veneto. Fortunatamente, aggiungo, che essere touaregh o nero di Clarksdale è dura. Ben dura.

Nessun commento:

Posta un commento