lunedì 18 luglio 2011

IL PANORAMA DAL DESERTO

(pubblicato sul Gazzettino, pagina di Treviso, di domenica 17/7/2011)
In un'intervista concessa a questo giornale, Mirko Artuso ha definito il Nord Est un "deserto culturale". Credo che la sua definizione si riferisca al Nord Est contenuto entro i confini della nostra regione, perchè sia il Friuli Venezia Giulia che il Trentino Alto Adige hanno un piuttosto interessante movimento di stimolanti manifestazioni . Precisato questo, come non sottoscrivere in pieno l'affermazione di Mirko? Ma da ciò vorrei divagare un poco, soffermandomi un secondo su un possibile perchè sia un deserto culturale. Mi viene subito da pensare che sia soprattutto per la diffusissima incapacità di confronto. Una delle critiche fatte a Bolascolegge, manifestazione a cui ho partecipato, è che erano troppe le presenze letterario/musicali foreste, da Torino in particolare. "Più Nord Est, per favore. Più Nord Est", da leggere, evidentemente, "più Veneto". Dapprima mi sono irritato, poi mi è venuto da ridere. A crepapelle persino. Io sono veneto a tutti gli effetti: pur non essendo nato qui, parlo veneto, scrivo gli sms in veneto e mi sento pure veneto. Posseggo quello che si dice il "senso di appartenenza" e anche, un pochino, me ne vanto come ci si vantava, da piccolini, di appartenere ad una banda. Ma non penso affatto che noi possiamo insegnare qualcosa a qualcuno, men che meno in campo culturale. Basta, per esempio, osservare i cartelloni della quasi totalità delle manifestazioni musicali estive: casting d'artisti triti e ritriti, con date alternative a 100 chilometri, sorprendenti tanto quanto l'acqua calda nella doccia. Persino le manifestazioni più importanti, che hanno un folto pubblico assodato e fedele, non rischiano una briciola: sicurezza per l'amordiddio, che la gente abbia quello che vuole. Come spettatore ho seguito per un paio d'anni una manifestazione torinese: Musica 90. Lì il rischio era assoluto. Non si sapeva cosa avrebbe combinato Diamanda Galas o chi fossero Le Tartit, Rokia Traorè e i Tinariwen, ma si usciva dagli spettacoli con la sensazione d'essere stati, per un paio d'ore, da tuttaltra parte del mondo. Ma non è una mera questione torinese. A Maniago, sottolineo, qualcuno è riuscito a far salire sul palco Marianne Faithfull e l'anno prima Arto Lindsay. A Maniago, ribadisco. E lo stesso vale per la scrittura. Supponiamo per un istante che qualcuno necessiti di un agente letterario, oppure desideri parlare davvero di case editrici e di scrittori, non del figlio dell'avvocato o del medico che adora scrivere e qualche tipografo pubblica, o anche trovare una media libreria che non abbia una scelta intimo/Yamamai, dove deve andare? A Milano o Torino, per forza. E qui qualcuno dice sempre: "Ma sono grandi città!". Peccato che siano più di dieci anni che la meniamo con la metropoli conglomerata del Nord Est: una roba tipo Los Angeles insieme a San Diego e che nel 2019 il Nord Est voglia essere il luogo europeo della cultura: significando, in realtà, Venezia che, come tutti sanno, possiede un mondo culturale a parte e manifestazioni come "Incroci di Civiltà" inimagginabili di qua del Ponte della Libertà. Colpisce basso quindi l'affermazione di Gianmario Villalta quando dice che Pordenonelegge ha aiutato anche la costruzione di un vero ambiente letterario locale, riferendosi molto probabilmente alla punta dell'iceberg rapresentata dall'inserimento nella cinquina del Campiello di Federica Manzon. A questo punto, a tutti quelli che affermano che Roma e Milano trattano il Veneto come una ruota di scorta, bisognerebbe rispondere che, in realtà, ci abbiamo messo molto del nostro per esserlo.


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