domenica 7 agosto 2011

SERENISSIMA ROCK'N'ROLL plus Piccola Favola Per Agosto

Pubblicato sul Gazzettino di Treviso di domenica 7 agosto.
Per l'occasione lo pubblico integralmente, nel senso che, per motivi di spazi giornalistici, la versione qui riportata è stata, da me stesso, ridotta. In un blog non abbiamo di queste problematiche perciò eccovela "nature", più prolissa e esagerosa, però "nature". A seguire una Piccola Favola d'Agosto, per tenervi su di morale se doveste rimanere incollati al vostro schermo.

I più attenti si saranno certamente accorti di un fenomeno che accade da un po' d'anni. E' un fenomeno trascurabile, una cosettina da poco a ben vedere, ma, secondo me, esplicativo di qualcosa. Ogni tanto in qualche locale pubblico, in mezzo a gente che si sta facendo gli affari propri, piombano degli individui che cominciano a parlare a voce alta della Serenissima Repubblica. Attaccano bottone con chiunque per perorare stà causa, ma alla prima occhiata appare chiaro che il loro rapporto con la Storia, la disciplina scientifica, intendo, è faraginoso. Per loro Adriano, non è Publio Elio Adriano, l'imperatore romano pacificatore di cui si sa pochissimo, ma Adriano Leite Ribeiro, l'imperatore del Flamengo, passato all'Inter e poi precocemente impanzonito. Nonostante codeste difficoltà d'interpretazione storiografica, appare chiaro che recentemente debbano aver frequentato un seminario del povero professor Frederic C. Lane, morto però nel 1984, alla Johns Hopkins University di Baltimora, per raggiungere un così elevato grado di preparazione sui temi di cui disquisiscono all'interno dei locali pubblici della Marca e del Veneto in generale. Spesso le discussioni terminano con un perentorio: "Senti, a mi dea Repubblica Serenissima no me ne frega gnente". Al che i relatori rispondono con l'immancabile e oramai prevedibilissimo: "Come? Non ti interessano le tue radici. Le tue origini?". Ecco, proprio di origini e radici volevo parlare, riferendomi in particolare al dialetto. A giugno, quando a Castelfranco è stato organizzato Bolascolegge, ho avuto il piacere di scarrozzare per la città Margherita Oggero e Ernesto Ferrero che sono rimasti piuttosto sorpresi del fatto che, per interloquire con gli amici e i conoscenti, io usassi esclusivamente il dialetto. "Ma qui parlate tantissimo dialetto!". "Beh certo! Noi l'adoperiamo praticamente sempre nei rapporti personali". Erano sorpresi di questa circostanza, mentre io ero davvero a mio agio e anche, come ho già scritto in precedenza, un pochetto orgoglioso. E' un po' come far parte di una banda con un proprio linguaggio interpretabile, più o meno, solo da chi ne fa parte. Un po' un vezzo da ragazzotti, per dirla tutta. D'altro canto, però, mi sento davvero estraneo e lontano anni luce da chi ammicca all'uso del dialetto come una sorta d'originale appartenenza a un non meglio identificato "popolo veneto". In particolare mi fa ridere quella tendenza che nell'ammiccamento traspare quando si parla di band musicali che utilizzano, in tutto o in parte, il dialetto nel loro repertorio. Generalmente vengono identificati, ghignando, come "roba nostra", "roba de qua". Ora, io posso portare la mia personale, limitata esperienza nel campo riferendomi a due particolari esperienze. La prima è quella dei Radiofiera di Ricky Bizzarro che nell'ultimo cd "Atimpuri" sciorinano tutta una serie di canzoni in dialetto, proseguendo, comunque, una teoria già iniziata nella loro passata produzione discografica. Per conoscenza personale posso decisamente garantire che non c'è alcun ammiccamento di "prurigine autoctona" nelle canzoni di Ricky Bizzarro. Anzi, direi. Sono piuttosto una sorta di rivendicazione di provenienza da un mondo, Fiera di Treviso, con tutta una sfilza di personaggi caratteristici che si affacciano a un mondo più grande, da esplorare con curiosità. L'altra, meno conosciuta ai più, è quella di una band troppo facilmente etichettata come band da sagra paesana e da confusione. I Los Massadores vengono da Riese Pio X, piccolo paese con una spontaneo e stimolante status culturale giovanile da città più grande. Non nascondono, come i Radiofiera, le loro origini, anzi, ne sono, come me, un pochetto orgogliosi, ma la loro propensione al dialetto e al vaudeville è piuttosto travisata. Nel loro "Scheiline" (già il titolo vuol dir qualcosa) parlano di questioni piuttosto spinosette del nostro territorio e credo che la canzone che meglio evidenzi queste questioncine sia "L'ignodanza": una sorta di parodia di quelli di cui parlavo all'inizio. I Testimoni di Geova della Serenissima Repubblica. I paladini de "A Terra Ze (o Xe) Nostra". E' clamoroso quando nella canzone, dopo una serie di orgogliosissimme rivendicazioni di veneticità, si finisce per parlare di badanti. Una roba tipo: "Sì, sì, ste casa vostra, ma da dove vien a badante de to mare?". I Testimoni di Geova della Serenissima Repubblica, quelli che sono stati alla Johns Hopkins per il seminario sul doge Giovanni Bembo, prima di ammiccare gongolanti e dire: "I Ze (o Xe) dei Nostri", almeno i testi delle canzoni dovrebbero leggerli. Almeno quello.

Una piccola favola d'agosto
Stazione di Padova. Pomeriggio/sera d'un venerdì. Arrivo col treno e mi dirigo verso l'uscita. C'è qualcosa di nuovo però in stazione. Di fronte al consueto parterre di tossici marci, puttane, extracomunitari pronti a tutto  sono schierati in circolo dei ragazzotti, ma anche gente un po' meno ragazzotta, che cantano Inni a Dio. In circolo dentro all'atrio della stazione di Padova. Una scena surreale. Questi che cantano in circolo agitando le braccia e le gambe con i loro Tao di legno che penzolano dal collo e tossici, questuanti, homeless che li guardano straniti. Che non capiscono un cazzo di quello che sta succedendo. Mi fermo un attimo e un pensiero feroce mi passa per la testa. "Ma se proprio ti toccasse scegliere da che parte stare, se la vita ti mettesse con le spalle al muro, da che parte preferiresti stare?". C'ho pensato a lungo, ma poi ho scelto. Preferirei stare tra quelli che che cantano e ballano. Per una questione d'aspettativa di durata di vita.

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