mercoledì 26 settembre 2012

IMERIO SUL TRAGUARDO


Ci son cose che si capiscono tardi. Una volta mi chiesero se "L'Ombra del Cannibale" fosse un romanzo di formazione. Io non ho risposto. Mica perchè fossi straffottente, ma perchè neppure immaginavo che ci potesse essere qualcosa chiamato ROMANZO DI FORMAZIONE. Cosiccome non sapevo che ci fossero le copie-staffetta dei libri: una roba che si dà agli addetti ai lavori prima che il libro esca. E invece ci sono. Allora. Ho visto Imerio in copia-staffetta ed è persino più fino (nel senso di spessore) dell' "Ombra del Cannibale" che aveva 140 pagine. Sinceramente lo scopo di tutto stò mio scrivere è portare a termine prima o poi una roba tipo "Il Re e Il Suo Giullare" o "Shantaram", che uno ci resta attaccato come fosse un librino anche se han settecento pagine buone. Con "La Storia Balorda" ero soddisfatto che avevo sfiorato le 200 pagine, ma "Imerio" è tornato giù di spessore. Vacca ladra. Ma d'altro canto, in fondo, mica conta il numero di pagine, conta quello che c'è scritto, anche se un bel volume fa sempre la sua figura. Uno scrittore deve avere sia la dote di scatto che la dote di fondo, proprio come i ciclisti, come Merckx. Ma ci sono dei ma, come sempre. Non so a cosa serva scrivere un bel volumone proprio adesso che c'è quel robo bello grosso (son tre a ben vedere) che ha a che fare col sado-masochismo che straccia tutti. Il mio massimo di sadomasochismo è stato quando m'è scivolata una panca del bar sul ditone del piede sinistro, che, siccome lo prevedevo, m'ero provveduto a calzare un sandalo estivo. E non mi piacque per cui ritenni d'abbandonare il genere. L'altro ma è legato alla questione dello scrivere un libro bello grosso allungando il brodo o menando il turùn, come preferite. Potrei mettervi dei titoli contemporanei, ma sarebbe di cattivo gusto. Piuttosto preferisco prendere un rischio grossissimo: tra W.C. Heinz, che non so come Giunti sia riuscita a scoprire, e il suo libro del 1958, "Il Professionista", appena tradotto e pubblicato in Italia, e "Il Grande Sonno" del pluri-citato Raymond Chandler, pubblicato nel 1939, io preferisco cento volte il primo, perchè Chandler con le sue descrizioni di Los Angeles, della villa degli Sternwood, del tappeto di Arthur Geyger, alla fine ruma un poco i marroni, come si dice. Gli chiedi: "Cazzo! Raymond dammi la storia, non nuvole di fumo di sigaretta da attraversare con le dita!". Perciò se un giorno riuscissi nel mio intento di scrivere il librone, vorrei che fosse come quei tre che ho citato benignamente: niente palle, solo estratti. 
Ma, alla fine, "Imerio" è un librino, diciamocelo. Meglio, in Italia vanno un sacco i librini.
Allora, innanzitutto, vi spiego com'è lo stato della letteratura in Italia e lo faccio con un esempio.
Nel 2008 ha vinto il Nobel per la letteratura Jean-Marie Le Clèzio che nessuno in Italia mai aveva cagato paro, tranne Instar Libri, che pubblicò quel piccolo (nel senso di fino di spessore) capolavoro che è "L'Africano", passando in un giorno (quello della proclamazione) da 500 copie vendute a 50.000. Lo stesso accadde nel 2009 con Herta Muller che nessuno aveva mai considerato, tranne Keller che, come Instar, in un giorno aggiunse due zeri al numero di copie vendute del "Paese delle Prugne Verdi". 
Ricordo come fosse ora lo strombazzamento dei capintesta delle case editrici italiane, quelli che pubblicano Vespa, Veltroni, Faletti, per concludere qui che poi magari qualcuno s'adombra, e il realtivo scotimento di capo sulle scelte dell'Accademia Svedese ("e questi chi cazzo sono? dove li han scovati? minchia sti svedesi non sanno un cazzo di libri"), come se i gnurant fossero gli scandinavi e non (alcuni, ma maggiori) editori italiani.
L'editoria italiana si riprese l'anno dopo con Vargas Llosa che almeno qualcuno aveva sentito nominare, ma tornò agli alti lai quando nel 2011 venne premiato uno di quelli che stan lassù, in mezzo ai caribù. Ma, come sempre, gli imbecilli son quelli dell'Accademia di Svezia, mica quelli che han bisogno dell'annuale caso pietoso per vendere.
In questo stupendo agone, un librino va bene, perchè negli appuntamenti importanti bisogna comunque far vedere che si legge: soprattutto in quelli galanti, che le donne leggono e, magari, qualche uomo. Un librino è comunque un libro da sventolare e magari può diventarlo persino un racconto lungo: basta scegliere il corpo giusto (di stampa, intendo) e si diventa come Saint-Exupery o come quello di Torino che andava per bachi da seta in Giappone (non metto il nome perchè, quando vado tra i piemunteis trovo sempre qualcuno che insegna nella sua scuola e mi fanno un culo così).
Ecco, "Imerio" è un librino. Il massimo per la letteratura italiana. E adesso mi vien da ridere.

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