lunedì 14 febbraio 2011

MA IO COSA C'ENTRO?

Il ricordo è di moltissimi anni fa. Un pomeriggio d'estate, che in collina si stava meglio. Ma non era una cosa solita. La domenica di noi bambini passava a giocare a pallone dietro alle case o a costruire barche di legno e farle gareggiare dentro un canale d'irrigazione dalle sponde di cemento: perfetto perchè la gara fosse "pulita" e scevra dai colpi di fortuna di corsi d'acqua naturali. Questo era vicino a casa mia, ma un altro dei posti in cui sono cresciuto è un gruppo di case popolari in cui vivevano i miei zii e mio cugino coetaneo. Lo chiamavano Piccola Russia quel quartiere, ma adesso non lo chiamano più così perchè sono successe un sacco di cose nel frattempo. Dal 1970 ad adesso. Fu con mio zio che dedicammo un pomeriggio domenicale estivo a una visita importante. Mio zio era stato partigiano per davvero, cioè subito dopo il 25 luglio 1943 e non mano a mano che gli americani occupavano l'Italia. Aveva salvato la ghirba in Grecia/Albania, aspettato sui monti che gli Alleati si dessero una mossa e attraversato con un bel po' di fortuna i rastellamenti nazi-fascisti. Era stato interpellato da uno storico progressista per un'intervista sui tratti salienti della Guerra di Resistenza nel nord-est e aveva reso la sua testimonianza che era comparsa su una pubblicazione "plurivolumata" che riportava in copertina e sul fianco l'immagine di un partigiano sbrindellato, infangato fino alle orecchie. Mio zio era comunista, cioè iscritto al PCI, uno di quelli che in Veneto venivano indicati per la strada perchè non lo celava e lo sottolineava persino perchè lui e mia zia erano state uno delle rarissime coppie che per sposarsi aveva scelto il rito civile. La casa in cui viveva era modesta cosiccome lo erano tutte le case della gente che conoscevo. Quel pomeriggio andammo in collina dallo storico che aveva scritto il libro: mio zio aveva grande stima di lui, era un compagno importante. Ricordo ancora quella casa infilata in mezzo alle colline coneglianesi: bella ed elegante dell'identico prestigio che affrontavo con circospezione quando il compagno di classe più abbiente invitava tutti per una merenda a casa sua. La differenza consisteva nel fatto che la merenda ci veniva servita da una governante, mentre là era la moglie a offrirci il dolce, con un grembiule azzurro che ricordo ancora. Rammento pure le pattine con cui fecero percorrere tutta la casa a mio zio e mio padre, me e mio cugino. Tutto perfetto, tutto in ordine, a centomila miglia dalla vita che ogni giorno noi affrontavamo. Ricordo che mio zio e il signore importante parlarono a lungo e molto compostamente, mentre io stavo immobile ad ascoltare lo scandire dei secondi per evitare accuratamente comportamenti biasimevoli. Ogni tanto ripenso a quel pomeriggio e mi chiedo cosa noi avessimo a che spartire con quella dimora e con quel modo di vivere, nonostante le apparenti prossimità ideologiche: secondo il vecchio proverbio per cui piangere è brutto, ma è meglio piangere in Rolls Royce piuttosto che in Ford Fiesta vecchio modello. Ogni tanto quella vecchia sensazione riappare. L'ultima volta è capitato non molto tempo fa: a una convention libraria. Diverse case editrici presentavano i loro libri nuovi ed ho assistito a una presentazione d'un libro che mi ha fatto riassaporare quell'aroma dell'essere nuovamente fuori posto. Un'importante signora della sinistra, del Partito Comunista Italiano, parlava della sua davvero bella (perchè è così, il libro è bello e molto ben pubblicato) opera. "Giocavo a tennis con Assunta Mussolini quel giorno, il 25 luglio 1943. La venne a chiamare un agente della milizia e dovemmo sospendere l'incontro perchè suo padre era stato arrestato". E così via, fino alla svolta comunista di una pariolina dalle buonissime amicizie e la corsa verso lo scranno del Parlamento e alla fondazione del Manifesto (il giornale). Anche la mia famiglia era comunista, ma era tutto diverso: mio padre carpentiere edile, mia madre operaia tessile ed io sono cresciuto in una fantastica atmosfera modesta che mi faceva, anche quella sera di poche settimane fa, sentire assolutamente fuori posto con le partite a tennis, le pattine, le case a Cannes e il partito comunista. Mi sono sentito molto più a mio agio, fino all'amicizia, con un liberale pariolino come Pierfrancesco Pompei, co-vincitore del Bancarella Sport 2009, che s'è presentato assolutamente come è: un individualista celiniano col quale duellare a causa delle nostre diversità. Nessun trucco, nessun travestimento e completa stima. Per queste ragioni sono davvero sempre più stordito dal salottamento sempre più evidente della MIA compagine politica, che giustifico bellamente negli antagonisti, ma che esecro da questa parte del campo: a tal punto da non cogliere la gravità delle posizioni marchionnane. Ma purtroppo è evidente, pensiamoci. Sbabollare sulla classe lavoratrice è bello, magari condire i discorsi con idee sui nuovi orizzonti della responsabilità dei lavoratori di fronte alle imprese, ma stare in catena di montaggio è ben diverso. Molto diverso. Non è necessario passare un anno a saldare scocche della Nuova Punto E Virgola, ma magari stare un po' distante dalla triade tennis/pattine/casa a roma, siena, lerici, paris. Il problema vero è che sfortunatamente il salottamento da fuori si vede. Ma proprio tanto.

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