martedì 8 gennaio 2013

MUSICA (di quello so parlare): CIACCOLE DIETRO ALLA TASTIERA.

Beh, se devo pensare di dedicare un blog a un argomento specifico, come fanno tutti i blogger che si rispettino, quelli che campano facendo i blogger (a me par impossibile che sia possibile, ma sembra accada davvero), allora mi tocca dedicarlo alla musica: con quella sono cresciuto e pare pure che, a un certo punto, si raccontasse che ne sapessi molto sull'argomento. Di certo, però, so che Lei m'ha pure insegnato a pensare di poter scrivere, grazie a un mezzo miracolo di libro chiamato "Natura Morta con Custodia di Sax", guardacaso proprio edito da Instar Libri. Allora se mi tocca per forza dedicarlo alla musica, comincio a raccontarVi cosa sto ascoltando adesso: Angela Hewitt, insieme a Ramin Bahrami, probabilmente la più importante interprete bachiana in questi anni. E' curioso, la pianista canadese m'ha molto affascinato, tanto d'avventurarmi nell'acquisto d'un cofanetto da 80 euro che mai e poi mai mi sarei potuto permettere, ma ora mi sto chiedendo cos'è che, in realtà, m'abbia attratto. Purtroppo devo ammettere che più che il suo pianismo, m'ha entusiasmato la somiglianza con Glenn Gould. E' dura da accettare, ma sembra sua figlia. E quindi impelle la domanda successiva, perchè una questione porta subito ad un'altra questione: "Come accidenti riuscire a sfuggire alla "genitorialità" artistica"? Beh! d'altro canto Gould ha suonato soprattutto Bach e quindi potrebbe sembrare che pure lui fosse ingabbiato nella translitterazione di Ferruccio Busoni, grande ribelle pianista del suo tempo, ma come già detto, invece, Gould appare ogni giorno più trasparente e al passo coi tempi. E' il fermarsi e cercare d'andare oltre, un po' per studio e un po' per caso, come accade per il blues, in cui il salto casuale è il sale della musica, che rende la musica ininvecchiabile. Jan Johansson è proprio così: conosce certo il jazz e Eric Satie, ma quel che tira fuori dal pianoforte è cristallino, suo proprio, come è il tocco di Glenn Gould. Ma grandi esploratori dello spartito come Gould e Johansson, contrariamente a ciò che dicono i professoroni della musica, hanno la stessa dignità d'un Muddy Waters che incide "Folk Singer", con tutte quelle riflessioni acustiche attorno al così tanto bistrattato blues, col gusto pazzeschissimo dei silenzi in "Captain, Captain" e delle pause che guardacaso sono pure i tratti rilevanti del pianista canadese e del jazzman svedese. Il blues, finisco sempre a parlare di Lui, se suonato col rispetto che merita raggiunge vette artistiche inusitate, che hanno pari dignità dei più celebrati componimenti, e questo per sconfessare drammaticamente quelli che, sorridacchiando, sostengono che è pure accetabile suonarlo un poco scordati. Un accidente di minchia. Bisogna rispettarlo perchè Blind Willie Johnson sta lassù insieme alla 5^ di Beethoven dentro a Voyager. Blind Willie Johnson non suonava scordato. Tutta questa riflessione è una consecutio d'un ascolto notturno, perchè il mio amico Luigi Tempera ha postato su un noto social-network un video di Otis Rush al festival blues di Montreaux nel 1986. Considero le Cobra Session del 1956 uno dei più grandi capolavori della storia del blues e, quindi, se sto dietro al ragionamento di prima, della musica, ma vedere la squallida esibizione di Montreaux m'ha lasciato a bocca aperta. Mica Otis Rush, lui fa quello che sa fare, ma la band alle sue spalle è devastante. Magari a qualcuno piaceranno i bassisti e i batteristi che sparano a 400 all'ora o i secondi chitarristi che sparano didascalie di frasi a manetta. A me fanno cagare, neri o non neri che siano. Credo che fermarsi e pensare sia necessario. Perchè la musica è una gran responsabilità. Davvero una gran responsabilità.

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