domenica 13 marzo 2011

LA VERITA' (PRIMA PARTE)

Quella di cui voglio parlavi è la VERITA' STORICA, semplicemente perchè credo sia stata "elusa" ("nascosta" è un aggettivo troppo vigoroso per questo  argomento delicato) per molto tempo. Me ne sono reso conto soprattutto in questi anni in cui ho ripreso in mano argomenti che paiono al giorno d'oggi non avere alcun valore. Paradossalmente appare molto più odierno il "i ne ga ciavà col prebiscito del 866, se staimo coi Asburgo oncò ierimo pì ricchi" (per i non veneti: "ci hanno fregato col Plebiscito del 1866, se stavamo coll'Austria-Ungheria oggi saremmo stati più ricchi") che riempie le piazze e i bar di una nouvelle vague storiografica che fa, giustamente, dire a Gianantonio Stella (su RadioTre un po' di giorni fa) col suo accento molto mio conterraneo: "Basta. Non se ne può più di questi che si svegliano la mattina e mentre si grattano pensano che la Repubblica Serenissima è il più grande stato mai visto in tutta la storia. Altro che i romani. E il giorno dopo tutti in piazza dicono così perchè l'ha detto il compagno di scopone. Una volta per avere un'opinione bisognava almeno aver letto un paio di libri". No, non intendo parlare di quella storia così remota che gira attorno al 1860, intendo parlare due periodi più vicini a noi che mi sono ritrovato a maneggiare mentre scrivevo il romanzo che uscirà fra poco. Intendo raccontare degli anni attorno alla Liberazione, un po' prima e un po' dopo: anche perchè credo siano molto rappresentativi dell'italianità. Di ciò che siamo ora. Io sono nato nel 1962, figlio di genitori comunisti tornati in Veneto dalla Svizzera nel 1968. Per spiegare il clima politico che si respirava allora credo basti un esempio ben impresso nella mia memoria. Ricordo che seppi che i miei genitori erano "comunisti" verso i dodici anni, prima ero convinto appartenessero alla Democrazia Cristiana, tanto da fare un gran casino, più o meno lo stesso per le vittorie della squadra del cuore, quando la televisione in bianco e nero mostrava i dati delle elezioni politiche che testimoniavano come, per l'ennesima volta, lo Scudo Crociato avesse trionfato. I miei non me l'avevano detto semplicemente perchè sapevano bene che i bambini parlavano tra di loro e subito dopo con i rispettivi genitori e magari non era propriamente salutare che si venisse a sapere nel mio bianchissimo paese che in quel posto ci fosse una macchiolina rossa. Non c'era stato un unico caso di improvvisi licenziamenti per motivi vaghi, che poi erano semplicemente riconducibili all'appartenenza al Partito Comunista Italiano. Poi, dopo il 1976, tutto divenne più accettabile: l'ammorbidimento delle posizioni sia di una parte che dell'altra (per moltissimo semplificare, distensione legata alla costituzione dell'asse Moro-Berlinguer) fece in modo che l'aria diventasse più respirabile, ma io non dimenticherò mai le bordate di mio padre: "Si, si, adesso tutti fratelli, ma quanti di questi che adesso fanno bei discorsi e sono tanto democratici prima della Liberazione stavano con i fascisti e son saltati sul carro buono quando i podestà se la davano a gambe?". Io ricordo che facevo mie le sue parole, come ogni figlio orgoglioso del padre, e le sbandieravo a destra e a sinistra ricevendo in cambio piccole prese per il culo, il solito "sei sempre il solito rosso rompicojoni" e via così. Cose che si protrassero finanche al Liceo. Però, come accade alle volte, il mio tardivo attaccamento ai libri, nel corso del tempo m'ha portato a rivalutare quel giovane solito rosso rompicojoni. Ho incontrato libri estremamente interessanti sul voltagabbanesimo. Mentre scrivevo "A Pedate" mi sono imbattuto nel libro di Loris Lolli "I Mondiali In Camicia Nera", comprato per pochi soldi da un bancarellaro. Il libro è assolutamente sconsigliabile per il suo valore intrinseco, ma assolutamente da leggere perchè Loris Lolli è un fascista non pentito e quindi con estremo astio fa nomi e cognomi e dipinge le gesta di importanti voltagabbana del nostro tempo. Analogamente è interessante leggere "Rosso E Nero" di Renzo De Felice che stima le cifre dei combattenti partigiani dopo l'8 settembre 1943 e si evince come da un 4/5 mila si passi di quella data a più di 100.000 nell'ottobre 1944 a 280.000 verso il 25 aprile 1945, segno incontrovertibile di un entusiastico andare coll'onda. Tra queste letture c'è stata anche la stesura di "Bluespadano" con l'incontro sotto all'Argine di Ragazzola col vecchio Armando che m'ha raccontato la sua storia: "Sai quando torni dai monti che sei stato nei partigiani e ti aspetti che, adesso sì, le cose cominceranno a cambiare e a Isola Pescaroli scopri che il capo dei partigiani là era il Capitano della Milizia qua, allora pensi che c'è qualcosa che non va. E capisci che non va proprio quando scopri che tutta la bella gente di Polesine, Ragazzola e Roccabianca, che durante gli anni del fascismo ti diceva di stare buono, che bisognava star tranquillo, quando torni dalla montagna, che sono stato in montagna, a star qui sotto l'Argine s'è arricchita vendendo quello che i tedeschi lasciavano durante la ritirata. Alla fine, che tu andassi o no in montagna coi partigiani, se eri un povero disgraziato restavi un povero disgraziato, mentre se eri un signore e ti sistemavi alla bellemeglio con chi comandava a casa, restavi un signore". Ma tutto ciò non serviva neppure a me per togliere di torno l'aria da rompiscatole, brontolone in cui mi riconosco. Poi un giorno un libraio m'ha consigliato il libro di Egidio Ceccato: "La morte del comandante partigiano Masaccio: delitto senza castigo" e leggendo si sono aperte le porte del Paradiso. Egidio Ceccato non è un brontolone come me: è un fedele adepto della ricerca storica e a distanza di così tanti anni ho ritrovato con piacere mio padre che malmostava sui voltagabbana e sui venduti del fascismo. Purtroppo non ho mai potuto assistere a presentazioni di questo libro, ma mi sono davvero divertito a sentirne narrare i rendiconti: con ex-democristiani passati, a seconda, a destra e a sinistra lanciare accuse contro l'autore e sputtanarsi a vicenda. Uno spettacolo indimenticabile per chi, "comunista", in quegli anni e subito dopo ha dovuto per campare tenere giù la testa e mangiarsi la lingua. Magari è più onorevole, oggi, dire: "Sì. E' vero. E' stato raccontato che furono i tedeschi ad ammazzare Masaccio, invece è stato un altro partigiano, perchè non si voleva che arrivasse a Bassano per fare giustizia del rastrellamento del Grappa. Vabbè è stato necessario coprire in questo modo la verità, perchè quelli eran tempi di gran confusione. La guerra è una brutta bestia anche quando finisce". Invece non succede così: si alzano i vecchi vessilli stracciati e lerci e si elude LA VERITA'. Ma l'importante è che ci sia chi, come Egidio Ceccato, la riproponga bella viva e norbia.

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